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Boom, boom, boom, boom!

Dia 5 – sabato 8 agosto 2015

L’eccitazione di essere al mare e vedere l’oceano Pacifico nica non sarà sufficiente a farci svegliare ad orari decenti… anche l’Universo ci mette del suo, e nelle prime ore del mattino fa partire un acquazzone incredibile (o almeno così è sembrato nel dormiveglia). Che se da un lato mi fa svegliare di soprassalto per il rumore delle gocce che cadono violente sulla nostra baracca di legno e lamiere, dall’altro rinfresca e ristora l’aria della stanza. E la presenza dei miei 4 compagni di viaggio dal sonno post-rum diventa quasi rassicurante.

Non riesco tuttavia ad ignorare l’ennesimo terremoto cigolante provocato dal caro Nicola B. che si rigira sul letto sopra il mio. Sono le 5 del mattino circa, e come di consueto Nicola B. riceve la chiamata alla tazza. A quanto pare in tutti gli anni in cui ha vissuto tra sud e centro America ha mantenuto inalterato il bioritmo… al punto che ovunque si trovasse poteva contare sul fatto che alle ore 12.00 italiane avrebbe avuto bisogno di un bagno. Incredibile eh? Un uomo condannato quindi in Nicaragua a svegliarsi ogni mattina alle 5 (8 le ore di fuso). E stavolta noi con lui. La luce già entrava dalle fessure delle pareti; il che mi ha permesso di apprezzare in tutto e per tutto la sua discesa dal letto. Vedo spuntare inizialmente due piedi all’ingiù – evidentemente era messo di pancia – all’altezza della scaletta che avrebbe dovuto guidarlo a terra. A quel punto inizia una sorta di danza sinuosa, per allungarsi e sporgere dal letto, a metà tra un bruco e un serpente. Il letto fa un rumore che non vi dico, Nicola B. borbotta finché non vedo spuntare pressoché metà del suo corpo, ormai pronto a calarsi dalla scaletta per scendere. Le parole non riusciranno mai a rendere giustizia alla comicità della scena, io esplodo in una risata fragorosa, Nicola F. si vede tutta la sequenza dall’alto del suo altro letto a castello e Jacopo, che gli dorme sotto, inizia ad inveire per tutto il rumore che c’è nella stanza. Ahahahahaahhah!

Nicola B. finalmente può chiudersi in bagno e noi rigirarci sull’altro fianco del letto e tornare a dormire.

Intorno alle 10 gli occhietti di tutti noi sono ormai aperti. Fra con la scusa di dover andare a prendere Veneto dall’amica Anita che in questi giorni lo ospita, occupa immediatamente il bagno per farsi la doccia. Il che ci vede costretti ad andare a fare colazione senza nemmeno passare per una lavata di faccia.

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Quando arriviamo al baretto dell’ostello apprendo la lieta notizia che a quell’ora non sono più disponibili le varie colazioni che di solito propongono… e che l’unico desajuno rimasto è il piatto di uova e gallo pinto (il riso con fagioli di cui già parlammo qualche giorno fa). Jacopo e Nicola F. hanno praticamente le lacrime agli occhi dalla gioia. Mentre un’integralista della colazione dolce come me non può che… decidere che è arrivato il momento di sdoganare il buongiorno con le uova!

…Sarà l’ultima volta 🙂

Nicola B. nel frattempo ha ricevuto la notizia dalla sua inquilina Francesca che lei e l’amico americano Nicholas (ci mancava un altro Nich!) sono arrivati e li va ad accogliere. Nel frattempo Fra esce finalmente dal bagno e tra un caffè, un succo di frutta, un paio di uova all’occhio di bue, una bella porzione di gallo pinto e qualche crostino di pane ciascuno, riusciamo a prepararci tutti.

La playa ci aspetta!

Inguardabili come non mai Nicola B. e Jacopo ed i loro effetti personali. Jacopo arriverà a chiedere a Nicola B. di tenergli le sue cose nel sacchettino di plastica recuperato per caso. E che per tutto il giorno poi dovremo stare attenti a non confondere con un sacchetto della monnezza, con annesso lancio nel cestino. Ahahahhahaah sfiorata la tragedia più e più volte.

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Raggiungiamo Fra da Anita e rimaniamo immediatamente esterrefatti dalla splendida casa in cui vive. Una villa rialzata tutta di legno, soppalcata, con tende, amache e divanetti dappertutto, un bel giardino e un grande tavolo in pieno soggiorno cui lei ci invita a sedere. Anita ha visto nascere Veneto e gli è super affezionata… pur se vederlo la costringe ad avere a che fare anche con Fra.

In quei giorni tra l’altro le era stato affidato un cucciolo meticcio piiiiiiccolo neeeeeeero e belliiiiiiiiissimo. Irresistibile! Jacopo non perde occasione per farsi immortalare con il piccoletto, già pregustando i cuori che avrebbe raccimolato pubblicandola su Instagram 😉

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E la “sosta breve da Anita”, così breve non fu.

Finalmente operativi carichiamo Veneto nel bagagliaio e partiamo; destinazione: Playa Hermosa! Francesca e Nicholas vanno in taxi e li beccheremo direttamente là.

20 minuti di strada sterrata in mezzo alla foresta: sobbalzi nostri, Veneto che si ritrova più volte a volare da una parte all’altra del bagagliaio con gli occhi imploranti di chi dice “bastaaaaaa” e Fra impettito e orgoglioso delle sue doti di guida safari. Fortuna non avevamo mangiato pesante…

Da viaggiatori infaticabili quali siamo, io Nicola F. e Jacopo siamo già proiettati al futuro. E sapendo di dover partire per le Corn Islands nella notte del lunedì, la stessa del  rientro da San Juan del Sur, cerchiamo di fare chiarezza su un paio di punti rimasti vaghi:

1. Ma per Corn Island dobbiamo prenotare?

2. Ma lunedì per che ora torniamo?

Fra è evasivo.

Lo spettacolo che vediamo all’arrivo è di quelli che ti fanno aprire gli occhi per vedere di più e per fare il carico di più bellezza possibile. Una grande baia bianca profonda; alla spalle una cornice di alberi e vegetazione di un verde brillante e vivido, quasi a darti quel senso di raccolto, di protezione, di “spalle coperte”…

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dall’altro lato l’oceano, sconfinato più che mai, a dirti che no, raccolto non sei. E che davanti a te si apre un mondo.

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Sono le ore tipicamente consigliate per esporsi al sole. Mezzogiorno poco più. Ci appostiamo all’ombra tra tronchi e amache, ci farciamo per bene di protezione solare e ci abbandoniamo al relax più totale. Nicola B. inizierà immediatamente la sua lunga maratona di pisolini.. perché sì, a quanto pare il mare gli mette sonno. Tantissimo sonno!

Faccio un giro di ricognizione e scopro che affittano tavole da surf, e che si possono fare lezioni di surf per 10$, attrezzatura inclusa. Il simpatico mr nica cui chiedo informazioni mi dice che in quel momento tutte le tavole sono fuori (in effetti, siamo praticamente a metà giornata) e che se siamo interessati alle lezioni ci possiamo ripresentare alle 13.30.

Torno entusiasta dai soliti compagni di sventura. Già ci vediamo cavalcare le onde, vento tra i capelli e i Beach Boys nella testa

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Nicholas a quanto pare con il surf ci sa proprio fare, e Francesca ne approfitta per farsi insegnare. Aspettando le 13.30 noi si va a fare un bagnetto. Contro ogni aspettativa l’acqua non è affatto fredda. E le onde sono alte quel che basta per non aver più voglia di uscire 🙂

Quando ormai siamo a rischio insolazione decidiamo di cimentarsi nell’antica arte del frisbee. E per l’occasione anche Nicola B. esce dal letargo.

Abbiamo uno spazio enorme tutto per noi, ma a quanto pare l’aria – e più spesso ancora il tocco aggraziato di Nicola B. – non ci permette di superare i 3 tiri di fila. Proviamo a spostarci. Ad avvicinarci. Ad allontanarci. Scarsi risultati.

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A questo punto sono le 13.30. E come scolaretti alla loro prima gita ci dirigiamo al punto d’incontro per la scuola di surf. 5, 10, 15 minuti. Il simpatico mr nica ci dice che ancora non sono rientrate le tavole. E di aspettare le 15. Ci guardiamo sconsolati e cerchiamo di capire se ci può dare qualche certezza o no. La risposta è no.

Tornati alla base riprendiamo con Fra un certo discorso:

1. Ma per Corn Island dobbiamo prenotare?

2. Ma lunedì per che ora torniamo?

Fra resta evasivo.

Io e Nicola F. decidiamo di ingannare l’attesa accompagnandolo un po’ più in là rispetto alla zona “attrezzata”, così finalmente anche Veneto se la poteva spassare senza guinzaglio. Vederlo correre incontro all’acqua per recuperare i bastoncini di legno che gli lanciamo è stra divertente. È davvero adorabile, e insieme lui e Fra fanno quasi un non so che di tenerezza. Sì, i cani fanno miracoli 🙂

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Tornando dagli altri, Fra si sofferma a riva e raccoglie qualcosa. IMG_1229Si avvicina, mi dice di aprire la mano e mi lancia sul palmo un qualcosa mai visto prima, che tra l’altro fa pure un po’ di impressione. Placa subito il mio panico dicendo che si tratta del “dollaro di mare”, famiglia delle stelle marine. É tondo e piatto, con delle fessure a raggio che si aprono e chiudono a ritmo del suo respiro; e sui bordi frastagliati si muovono velocissime ma impercettibilmente le “zampette” di cui è composto. Sento punzecchiare pianissimo sulla mano, ma al contempo vedo che il dollaro “cammina” è una sensazione stranissima, ma una figata! Dobbiamo assolutamente mostrarlo anche Ciube. Lo porto con me, rinfrescandolo di tanto in tanto per il terrore che senza acqua si seccasse.

Sollazziamo e bagnettiamo ancora un po’. Alle 15 circa atto finale del tentativo scuola di surf. L’insopportabile mr nica ce la mena per l’ennesima volta, dicendo che niente da fare, l’unica è tornare l’indomani. Ma noi l’indomani non ci saremo 🙂

Sonori *@#]¬+*+%$/ e tanti saluti. Noi si torna alla nostra vita da spiaggia. Altri bagni. Musica in cuffia. Libri. E tante chiacchiere.

Al primo cenno rosato nel cielo il richiamo dell’aperitivo è fortissimo. Anche per Nicola B., che rinverrà al grido di “Che stufo che son, ‘ndaria in montagna”. La Toña a quel punto ci avrà, più volte. Il tramonto è spettacolare, inevitabile sedersi comodi ed apprezzarne ogni sfumatura. Le foto si sprecano. Ciube ha bisogno di una connessione. E di una risposta alle domande:

1. Ma per Corn Island dobbiamo prenotare?

2. Ma lunedì per che ora torniamo?

Fra… RISPONDICIIIIIIII

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In men che non si dica ci troviamo nel buio più pesto che c’è. E ci pare il caso di evitare il taxi a Francesca e Nicholas. Torniamo in paese in 7 + Veneto, un tripudio di carpooling. Tappa Anita per salutare il nostro peloso e docce per tutti. Profumati e ripuliti Fra ci porta a mangiare pesce al Timon, che a quanto pare è tra i posti che non deludono. Non c’è che dire, ordiniamo un menù fisso tutti insieme e le portate che arrivano sono una meglio dell’altra, e pure abbondanti.

Scopriremo in questa occasione che Fra oltre a sbraitare ordini alla Rosita ama anche terrorizzare i camerieri dei ristoranti con i suoi giudizi taglienti in materia di vino. Pazzesco, gli siamo così amici e nessuno di noi sapeva fosse anche un sommelier! Non si finisce mai di conoscere i propri cari.

L’unico che trova sempre qualcosa da ridire xe el solito Nich B., che stavolta se la prende con le porzioni “Ma perché se semo in 8 i se ostina a portarce pezzi in numero dispari??” Ahahaahahhah che cazzo di incontentabile!

Già che siamo lì tranquilli, approfittiamo per chieder a Fra un paio di cose:

1. Ma per Corn Island dobbiamo prenotare?

2. Ma lunedì per che ora torniamo?

Fra ci manda ufficialmente in ****. Ma non sarà nemmeno l’ultima volta!

Giunti quasi al capolinea delle portate e della sazietà, capita che un gruppo di americani sconosciuti si aggreghi al nostro tavolo. Ci dev’essere stato uno/a di loro amico/a di Francesca o Nicholas, fatto sta che nessuno di noi tre è riuscito a ricostruire i fatti. E siccome la cucina era già chiusa e loro dovevano ancora cenare, abbiamo condiviso con loro più o meno coscientemente gli ultimi avanzi di cena. Preso da un incontenibile momento di patriottismo, Jacopo decide di iniziare questi nuovi amici alla pratica tipicamente italiana della scarpetta; che per l’occasione diventa “little shoe”… Ahahhaahhaaha non lo si può proprio sentire!

Siamo azzimi (nel senso di ultra-sazi, è nostro uso ormai da tempo immemorabile utilizzare del tutto impropriamente questa parola..) e per continuare la serata decidiamo di dare una seconda possibilità all’iguana bar, che pare essere il centro della movida di San Giovanni del Sud. Giro di amari e di whisky, capocciata su una grondaia di Jacopo, incontro con Luìs (il gestore dell’ostello leggermente sopra le righe…) in condizioni indescrivibili… risultato: cambio bar!

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Ci infiliamo in un altro locale al grido di “Flor de Caña per tutti!”. La solita salsa è nell’aria, e Fra decide improvvisamente di rapirmi e farmi fare un giro in pista. L’unico modo che adeguato per descrivermi in questo momento è “a mio agio”. Fatta anche questa, a questo punto mi sento una di loro!

Al banco ci forniscono tutto l’occorrente: bottiglie di rum e di cola. In un baracchino sulla strada per l’ostello procuriamo un sacchettone di cubetti di ghiaccio. Ci appostiamo con tutto l’occorrente nei tavolini fuori dall’ostello, solo noi e il panorama notturno sul mare. E chi c’ammazza annnnoi?

In un impeto di adolescenza viene proposto il gioco 1-2-3 boom; in sostanza si inizia a contare e in ordine di sedia ognuno dice il numero progressivo che gli corrisponde. E in corrispondenza dei multipli di 3 e dei numeri contenenti un 3 va detto boom. Chi sbaglia beve.

L’idea non esalta, ma non viene nemmeno boicottata. E si comincia. Se non che in un lampo di genio Jacopo non fa partire per ogni “boom” mancato la hit anni ’90 dei Vengaboys “Boom boom boom boom!”

E il delirio ha inizio. Demenza collettiva, lacrime agli occhi e eterna riconoscenza agli anni ’90. Che anche nel trash hanno raggiunto livelli altissimi.

Ci corichiamo alle 3 suppergiù anche oggi.

Speriamo che Nich non si svegli (e non ci svegli) tra 2 ore

Lara

 

La raccomandazione di (mamma) Fra”: ragazzi, vi siete messi la crema solare vero? Che sto qua no xe mia el sole de sottomarina!

La lamentela di Nic”: dopo aver dormito in spiaggia tutto il santo giorno: Che stufo che son, ‘ndaria in montagna.

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Leòn – El Asesino Profesional

Dia 3 – Giovedì 6 agosto 2015

Dopo la serata precedente passata a combattere il jet-lag con l’aiuto delle amiche Toña e Victoria a casa di Nic, la notte passa in un attimo. E’ giovedì, la sveglia suona le 7:00 ed è ora di svegliarci, dobbiamo partire alla volta di Leòn (che nome cazzuto) e Fra’ è stato molto chiaro: 8:30 in macchina che poi devo andare a lavoro.
Improvvisamente ci ricordiamo di essere figli del nord-est, e che siamo stati programmati a credere che nulla è più importante del rispetto del lavoro altrui, perciò scattiamo in piedi, rapida lavata di faccia e ascelle, cambio di zaino (il primo di una lunga serie in queste settimane) e siamo pronti per la colazione.
Jacopo porta sul viso i segni di una difficile nottata passata a condurre una lunga battaglia con Veneto a suon di peti, dalla quale purtroppo è uscito pesantemente sconfitto.
Ci accomodiamo a tavola, Fra’ non si vede, ma Rosita si precipita ugualmente a servirci la colazione con il suo immancabile sorriso. Forse le stiamo simpatici, o forse ha paura che Fra’ possa sbraitarle qualche ordine da un momento all’altro.
Il ribollire della moka ed il profumo di caffè che si diffonde per casa ha l’effetto di un potente richiamo per il resto degli inquilini, ed in poco tempo ci raggiungono a tavola Urda, Manu e Fra, anche se Jacopo non è poi così sicuro della presenza di questi ultimi due ;).
Sono le 08:30, e come una scolaresca di bambini svizzeri siamo puliti, ordinati e puntuali in attesa della nostra guida, pronti per partire per Leòn (che nome cazzuto). Fra’ nel frattempo passeggia a petto nudo sorseggiando caffè e parlando al telefono (ci spiegherà più tardi che stava cercando di risolvere un problema di lavoro), ci guarda e ci fa segno che saremmo partiti da lì a dieci minuti.
Passano i dieci minuti e sono le 09:30. Salutiamo tutti, carichiamo gli zaini sulla Bernarda e saliamo a bordo.

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Ci immergiamo nel caotico traffico di Managua, clacson, moto, motorini, motorette, cavalli, cavalli che trainano carretti, carretti che trainano altri carretti, bus gialli quelliamericanitipoquellicheguidaottoneisimpson, ed in men che non si dica siamo alla stazione dei “pullman”, alla Universidad de Centroamerica, la UCA, nome che pochi giorni dopo tornerà a farci compagnia.
Salutiamo Fra’, e diventiamo anche noi parte di quell’ammasso anarchico di uomini e motori urlanti che chiamano stazione.
Presto ci avremmo fatto l’abitudine, ma subito rimaniamo disorientati da quella che sembrava a tutti gli effetti una gara a chi grida più forte: chi vuole venderti cibo, chi una corsa per Cordoba (no grazie vado a Leòn), chi una corsa in taxi.
Ci fiondiamo dentro la navetta diretta a Leòn (che nome cazzuto) che ci ha indicato Fra’ prima di salutarci, alla ricerca di un luogo sicuro, ma anche lì siamo raggiunti dall’esercito di venditori che cercano di concludere i propri affari anche attraverso i finestrini del pullmino.
Qui non esistono orari di partenza, pertanto rimaniamo fermi finché la navetta non è piena di passeggeri. Per fortuna ci sono poco più di dieci posti e l’attesa dura poco. Partiamo. Leòn aspettaci!

Siamo in viaggio da quasi un’ora, quando l’autista decide di fermarsi in quella che ha tutta l’aria di essere un’area di sosta. Il personale di bordo inizia a raccogliere i soldi dai passeggeri, ed è in quel momento che Lara va vicina all’infarto quando vede uno degli esattori spuntare dal bagagliaio. Finisco di rianimarla e consegno al controllore le cordoba per il biglietto…circa 2 € a testa per un viaggio di quasi 3 ore.
Nel frattempo anche qui, mentre siamo fermi in quest’area di sosta, siamo presi d’assalto dai venditori da finestrino…sembra di essere in uno di quei film “dell’horror” dove tu e i tuoi amici siete in vacanza in una località sperduta che poi si scopre essere una città fantasma e devi cercare di sopravvivere all’attacco degli zombie…sto pensando tutto questo quando….ohmmioddio no! Lasciate stare Jacopo! Era ormai troppo tardi e gli zombie-mercanti avevano preso il nostro amico…la curiosità gastronomica lo ha spinto ad acquistare un “quesito” o qualcosa del genere…una specie di tortilla riempita con un formaggio fuso, il tutto servito in sacchettino di plastica trasparente per contenere gli inevitabili gocciolamenti e per evitare gravidanze indesiderate.
Sarà stata la consistenza, sarà stato il sapore, ad ogni modo Jacopo si arrende a metà del rancio, custodendo gelosamente per tutto il viaggio la restante metà all’interno del sacchettino, in un bagno di condensa e formaggio. Buono o no, lo spuntino ha segnato una tappa fondamentale nel viaggio di Jacopo: da quel momento in poi il suo intestino non ha più conosciuto la solidità.

Al termine del viaggio, dopo aver superato la velocità della luce in un paio di rettilinei, atterriamo alla stazione di Leòn (che nome cazzuto), dove veniamo accolti dagli ormai immancabili anarchici urlatori.
Un rapido incrocio di sguardi e capiamo subito che in quel caos la nostra priorità è una soltanto: trovare un cestino per buttare l’immondo sacchettino formaggioso. L’impresa si rivela molto ardua, e decidiamo di supportare Jacopo nella scelta di non abbandonare la sua piccola creatura lungo la strada.
Ci dirigiamo allora con fare sprezzante di chi ostenta sicurezza (non vorremo mica sembrare dei turisti, vero?) dal primo tassista che risponde ai requisiti di professionalità indicati da Fra’, e grazie alle doti di seduttrice di Lara contrattiamo in autonomia il nostro primo viaggio in Taxi.
“Portaces all’ostello La Tortuga Booludas”. Poche semplici parole per avere la conferma che lo spagnolo non è altro che il dialetto veneto con l’aggiunta di qualche esse alla fine delle parole.
Saliamo quindi sul taxi, ci siamo tutti: io, Lara e Linus con la sua inseparabile copertina di plastica e formaggio. Poche curve nei vicoli del centro città, ed il nostro tassista accosta, strappa di mano a Jacopo il sacchettino e lo getta dal finestrino del taxi dentro un cestino a lato della strada. Canestro e 3 punti per lui.
Riprendiamo la marcia e giungiamo all’ostello.

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Hostal La tortuga Booluda. Ci dicono si traduca La tartaruga pigra. Lo stile ci conquista subito. Appena varcato il cancello d’ingresso ci appare il giardino-reception: tavolo da biliardo, libri chitarre e bonghi per allietare le ore di ozio degli ospiti…per non parlare delle amache appese da un albero all’altro. Rapido giro illustrativo con la ragazza dell’ostello che ci fa vedere la camera, la cucina comune per cucinarci i pancakes a colazione, ed infine ci spiega il funzionamento del metodo di pagamento delle consumazioni extra: ogni bibita, snack, birra prelevata dal frigo comune sarà pagato scrivendo una lineetta nell’apposito foglio delle consumazioni appeso alla porta della reception. Questa dimostrazione di fiducia ci trasformerà inaspettatamente nei clienti più onesti che il Nicaragua abbia mai conosciuto.

Finito il giro di perlustrazione, una volta avuto il via libera per entrare in camera, appoggiamo i bagagli, velocissimo cambio d’abiti e ci dirigiamo nuovamente alla reception per prenotare il trekking sul vulcano Telica. Con l’aiuto dei ragazzi dell’ostello prenotiamo l’escursione, organizzata ad hoc per noi tre. Appuntamento in ostello alle 14:30, passerà a prenderci la nostra guida.
Per ingannare l’attesa usciamo a vedere il centro di Leòn (che nome cazzuto), e la cosa che ci colpisce immediatamente è il caldo. Torrido, insopportabile. Ci sembra impossibile ma Nic aveva ragione: Leòn (che nome cazzuto) è ancora più calda di Managua. Camminiamo lentissimi: quando siamo al sole per non sudare, quando siamo all’ombra per non tornare al sole. Ci infiliamo dentro ad un mercato coperto alla ricerca di qualcosa con cui pranzare, ma le uniche cose a farci appetito sono acqua e frutta. Tranne a me, che non riesco a resistere al richiamo dell’anziana signora e del suo banchetto di hot dog. Quando poi vedo più da vicino sia lei che i suoi hot dog, il fascino cala un pochettino, ma tant’è. Ormai il pranzo era servito, e non si poteva più rifiutare. Facciamo un’abbondante scorta di acqua e torniamo all’ostello ad attendere la nostra guida per il trekking vulcanico. Nell’attesa, stabiliamo dei rigidi turni per godere dell’amaca, mentre apprezziamo (soprattutto Lara) lo sfilare davanti i nostri occhi delle bellezze autoctone e turistiche che popolano l’ostello.
La nostra guida è arrivata, sono le 15:30, lo stiamo aspettando solo da un’ora, forse avrà avuto la stessa telefonata di lavoro avuta da Fra’ questa mattina. Ma chissene, siamo in ferie e stiamo per salire su di un vulcano.

Saliamo in auto, e quando realizziamo che siamo a bordo di un pick-up iniziamo a fare i capricci per sederci sul cassone dietro, all’aperto. Veniamo accontentati e smettiamo di piangere. Breve sosta per recuperare altri due compagni Trek americani e via verso il Telica.
Cose che non sapevamo quando abbiamo chiesto di salire sul cassone del pick-up: 1) i posti a sedere erano fatti di marmo 2) il viaggio sarebbe durato più di un’ora 3) nei tratti di super strada si sarebbero raggiunti i seimila all’ora 4) i tratti a velocità ridotta erano su strada sterrata, nel mezzo di un bosco con rami molto bassi.

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Dopo un’ora e mezza di viaggio tra vacche, cavalli e carretti, la nostra jeep (si, nel frattempo è diventata una jeep) raggiunge uno spiazzo e si ferma per farci scendere. Siamo ai piedi del vulcano, circondati da un fantastico mix di verdi arbusti e aride rocce.

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Nemmeno il tempo di controllare reciprocamente lo stato di salute delle nostre natiche dopo l’avventura sullo sterrato, che il nostro sherpa inizia immediatamente a correre verso la cima del vulcano dopo averci consegnato torce e viveri, mettendo subito dei chilometri tra lui e noi (contattata prima di scrivere il diario di questa giornata, la guida mi ha espressamente chiesto di rimanere anonimo, motivo per cui per comodità d’ora in avanti si chiamerà Reinhold).
Facciamo una fatica disumana a tenere il passo di Reinhold, ma dobbiamo fare in fretta a raggiungere la cima prima del calare del sole, per non perderci lo spettacolo del tramonto dal cucuzzolo del vulcano.
Arriviamo in vetta, alla velocità di Reinhold ci abbiamo messo 35-40 secondi, anche se a me sono sembrati almeno 50.

Provo ad avvicinarmi al bordo del cratere per guardare dentro al vulcano, ma la profondità mi toglie il respiro e non riesco più a muovere le gambe. Purtroppo non riusciamo a vedere la lava, secondo Reinhold ciò è dovuto al fatto che il vulcano si è “svuotato” con la recente eruzione di Maggio.
Mi siedo. Sono seduto su un gigantesco camino largo più di 70 metri che fuma incessantemente, e non immaginavo che visto da vicino quel fumo potesse somigliare così tanto alla nebbia degli inverni di casa. Una nebbia di un profumo così intenso e pungente che sembra perfino riduttivo definire zolfo.

Mentre siamo intenti a fotografarci in compagnia di un teschio di cavallo trovato in vetta, sentiamo un forte rumore provenire dal cratere. Ci avviciniamo incuriositi e vediamo un corposo getto di fumo salire dal profondo del vulcano. Reinhold ci consiglia di allontanarci in fretta dal cratere, facendoci preoccupare non poco nello spiegarci come nell’ultimo periodo la temperatura interna del Telica sia in costante aumento, sintomo di una possibile imminente eruzione, in un futuro non troppo lontano.

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Forse avendoci visto terrorizzati a sufficienza, Reinhold decide di distrarci portandoci al punto panoramico: si sono ormai fatte le 17:00 ed inizia ad imbrunire. Il tramonto da quassù è qualcosa di indescrivibile a parole, motivo per cui le parole cedono il passo ad una battaglia a colpi di instagram senza precedenti.
Riposti nella fodera i telefonetti, il silenzio assoluto intorno a noi contribuisce a rendere magico il momento…hai un’inspiegabile consapevolezza che nulla potrebbe rovinare quegli istanti, fino a quando Lara decide di farti ricredere rovesciandoti sulla camicia nuova del dolcissimo succo di mela in lattina.

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Reinhold, che probabilmente ha assistito alla scena, ha deciso che oramai è giunto il momento di fare ritorno al pick-up…ci consiglia quindi di rimetterci in cammino e di tenere a portata di mano le torce. Nemmeno il tempo di finire la frase, che siamo già avvolti dalle tenebre.
E’ incredibile la velocità con cui in questo Paese passi dal fotografare un tramonto al ritrovarti naso all’insù ad ammirare una stellata.
Riprendiamo così il cammino, questa volta in discesa, camminando in fila indiana ed illuminandoci il sentiero sotto i piedi con la luce delle torce gentilmente prestateci da Reinhold.

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Durante la discesa succede che Lara sposti il cono luminoso alla sua sinistra e si renda conto che non stava parlando con me, bensì con un gigantesco bovino dalle enormi corna che la sta fissando indispettito per essere appena stato svegliato dal sonno. Terrorizzata si gira per raccontare a Jacopo dell’accaduto, ma in realtà quello che credeva essere il nostro compagno di viaggio in realtà era un grandissimo cavallo bianco, che in quella oscurità sembrava quasi uno spettro. E’ in questo momento che Lara ha il suo secondo attacco di cuore della giornata. Per fortuna niente di grave, ma facciamo una bella fatica a riportarla alla macchina priva di sensi.
Durante il viaggio di ritorno mescoliamo le squadre: io e Lara stiamo all’interno della cabina, lottando con le nostre palpebre per rimanere svegli, mentre Jacopo rimane con i due compagni yankee a guardare le stelle dal cassone esterno del pick-up.
Del viaggio di ritorno non ricordo nulla, è evidente che sono uscito sconfitto dalla lotta contro Morfeo. Quando apro gli occhi sono in piedi davanti al cancello dell’ostello, zaino in spalla e con una camicia che puzza di bevanda al sapore di mela.

Chiediamo al ragazzo dell’ostello se per caso conosca qualche ristorante raggiungibile a piedi dove poter cenare con dei piatti della cucina Nica. Ci consiglia di andare al ristorante “Mi Casita”, a poco più di 100 metri da noi.
Mentre ci parla, però, la sua faccia disgustata ci fa sentire a disagio: non riusciamo a capire se sia dovuto alla cucina che ci ha appena consigliato o al nostro aspetto. A scanso di equivoci decidiamo di passare per la doccia prima di uscire.
Arriviamo al “Mi Casita” e veniamo subito accolti dalla cameriera che ci indica il tavolo cui possiamo accomodarci. Il locale è gremito di famiglie, coppie, bambini…tranne intorno a noi. Nessuno. Siamo da soli nella sala. Nonostante il nostro esilio, il karaoke sulle basi midi delle hit di Marc Anthony ci arriva ad un volume assordante, superato solo dalle urla della folla in delirio.


Tuttavia, anche se riusciamo a fatica a parlare tra di noi, la cucina è veloce, i piatti sono buoni e le dosi abbondanti. Locale approvato, ed è la definitiva conferma che il ragazzo dell’ostello poco fa era schifato proprio per il nostro aspetto.
Paghiamo il conto e ci avviamo a fare ritorno alla Tortuga Booluda, quando all’improvviso un inatteso regalo (per Lara): le casse dell’impianto ci salutano sparando a tutto volume “la mia storia fra le dita” di Grignani in spagnolo… e l’italiana cantavvaaa cantavaaaaa.


Rientrati in ostello dopo la breve giornata, ci sembra brutto correre subito a letto, perciò preleviamo tre bottiglie di birra dal frigo, paghiamo con il consueto metodo delle lineette, e ci abbandoniamo sollazzanti sulle sdraio e sulle amache.
Accanto a noi, dalla zona bagno, sentiamo la doccia in funzione. Dall’interno proviene una voce femminile…poi una maschile…poi risatine imbarazzate…ci guardiamo divertiti, tutti con lo stesso sospetto circa quello che sta succedendo dentro quella doccia: è evidente che il ragazzo invece di cantare sotto la doccia si stava esercitando in qualche divertente imitazione.

A questo punto le birrette sono decisamente il colpo di grazia che stavamo aspettando, il sonno è ormai incontrollabile e non ci rimane che andare a nanna. Entriamo in camera e l’escursione termica percepita è di circa venti gradi, fa caldissimo e i due ventilatori in camera puntano tutto sull’effetto suggestione. La stanza profuma di succo alla mela, maledetta camicia. Nuova.

Buona notte amici, buona notte Leòn (che nome cazzuto) a domani!

 

Nicola

P.S. Mi stavo quasi dimenticando le immancabili rubriche quotidiane, presenti nonostante la distanza di Nic e Fra

La raccomandazione di (mamma) Fra”: Di giorno potete camminare dove volete, di sera solo al di qua della sbarra del residence. Di notte, solo taxi

La lamentela di Nic”: Andate a Leòn? Bellissima. Pecà che xe la città più calda del mondo.

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