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COMO VA CA’?

Dia 5 – martedì 14 febbraio 2012

El Calafate – ore 6:00

Ma insomma!!! Perfino Stachanov in vacanza si svegliava alle 9! Daaaiiii che alle 8 abbiamo l’autobus che ci porterà a El Chaltén. Zaini, denti, documenti, è troppo presto anche per fare colazione che viene servita dalle 7. Meglio, così non rischieremo di incrociare la veccia “lanciatrice de cortei”.

Sgattaioliamo via dall’ostello e ci dirigiamo alla stazione degli autobus. Arrivederci grande Veccia! Dopotutto anche qui siamo stati bene (ma dove xe che stemo mae nialtri???)!

El Chaltén è una delle capitali mondiali del trekking. Un piccolo villaggio ai piedi del cerro Fitz Roy, montagna sacra del popolo Mapuche che l’aveva chiamata “La montagna che fuma” a causa delle nubi che perennemente si addensano sulla sua sommità. Questo cerro è rappresentato anche sulla bandiera della provincia di Santa Cruz.

Interessante è l’origine della parola Mapuche che deriva dalla fusione di due termini: CHE, “popolo” e MAPU, “della terra”. Secondo l’ultimo censimento sarebbero rimasti in 600mila, di cui metà nel lato argentino delle Ande. Molti Mapuche ora vivono in condizioni miserevoli in grandi città come Santiago. Ad ogni modo, la resistenza di questo popolo in difesa delle proprie radici continua, soprattutto contro le multinazionali, tra cui la nostra vicina di casa BENETTON, che operano su territori legati alla tradizione spirituale Mapuche.

I più attenti ricorderanno di aver letto, qualche anno fa, delle vicende della famiglia di Rosa e Atilio Curiñanco-Nahuelquir che vivono su pezzi di terreno tra gli ettari di Benetton, che ha acquistato il 10% delle terre della Patagonia per allevarvi pecore da lana. IL DIECIPERCENTO! Centinaia di migliaia di ettari di terra acquistati a prezzi stracciati in quanto classificati come desertici (Desertici un bel picchio! Qui son da sempre vissute le comunità Mapuche!!!). Il triste risultato di tutto ciò è che in questo momento ai Mapuche è negata anche l’acqua; cancelli e recinti UNITED COLORS sono ormai ovunque. Ed è per questo che nel febbraio 2007 i Mapuche, guidati da Rosa e Atilio, hanno fondato la Comunità di Santa Rosa, per protestare contro Benetton che li ha espropriati dei territori che spettano loro di diritto per discendenza. Nel maggio del 2006 Atilio e Rosa hanno scritto una lettera aperta a Luciano Benetton e al premio nobel per la Pace argentino Esquivel, prendendo spunto da una strana sentenza emessa dal tribunale della provincia di Chubut, in Patagonia; nel maggio 2004 infatti Atilio e Rosa hanno dovuto affrontare un processo per “usurpazione” promosso dalla multinazionale italiana Benetton.

Ed ecco il testo integrale della lettera (tratto da it.mapuches.org)

Esquel, Chubut, Patagonia, 21 maggio 2006

A tutta l’opinione pubblica,
nell’ottobre 2002 siamo stati violentemente sgomberati dal fondo Santa Rosa, nella zona di Leleque, provincia del Chubut (Argentina) in seguito ad una denuncia penale promossa dal gruppo italiano Benetton, che ostenta una proprietà di 900.000 ettari nella Patagonia, “donata” da un presidente argentino. Lo sgombero è stato ordinato dall’allora giudice d’istruzione José Colabelli, oggi destituito per il cattivo disimpegno e la non scusabile mancata conoscenza del diritto.

In quel fondo avevamo realizzato numerose migliorie e lavori agricoli come: un orto, piantato delle fragole, una baracca, un canale di irrigazione ed allevato animali quali buoi, cavalli, galline, oche e tacchini. Avevamo anche costruito una piccola abitazione. E’ stato tutto raso al suolo e la Compañía de Tierras di Benetton ha distrutto tutti i lavori effettuati.

Nel maggio 2004 il Tribunale della provincia del Chubut ci ha assolti totalmente dall’accusa penale, ma ha sentenziato la restituzione del fondo alla Compañía de Tierras (Benetton).

Nel settembre 2004 il signor Adolfo Pérez Esquivel ci ha fatto sapere che Benetton aveva offerto un intervento riparatore per la nostra famiglia. Abbiamo risposto a Benetton, attraverso il Serpaj e Pérez Esquivel, che la riparazione che accettavamo era la restituzione di tutti i danni morali e materiali provocati dallo sgombero.
Abbiamo anche sollecitato che venissero ritirati gli oggetti della cultura mapuche esposti nel Museo Leleque (amministrato dalla Compañía de Tierras). Abbiamo specificato che non avremmo accettato una donazione, bensì una restituzione poiché fino al momento della nostra occupazione il fondo non era stato lavorato da Benetton e la nostra famiglia era stata l’unica a dare una utilità sociale al luogo.

Su richiesta di Pérez Esquivel e di Luciano Benetton, abbiamo viaggiato in Italia assieme al nostro avvocato Gustavo Macayo ed al signor Mauro Millán. L’11 novembre 2004 ci siamo riuniti per quasi 4 ore con Benetton, la moglie e il figlio, Pérez Esquivel, l’ambasciatore argentino in Italia, il signor Gianni Minà, il sindaco di Roma, due avvocati della fondazione Gorbaciov e un membro dell’organizzazione italiana Radici.

Durante l’incontro abbiamo offerto la possibilità che Benetton consegni il fondo Santa Rosa allo Stato argentino, in modo che lo Stato lo restituisca successivamente alla nostra famiglia, considerato che Benetton non desiderava effettuare una restituzione bensì una donazione, proposta che noi avevamo rifiutato ancor prima di partire.

Benetton ha chiesto un tempo di riflessione per rispondere alla nostra proposta, in quanto si doveva consultare con i suoi avvocati di Treviso e della Patagonia. Sono trascorsi quasi due anni da quel momento e fino ad oggi non c’è una risposta. Benetton non ha voluto porre l’esito dell’incontro per iscritto, adducendo che la sua parola non necessitava di essere scritta. Ma, a quanto pare, fino ad oggi noi siamo gli unici a mantenere la parola.

In questo periodo ci troviamo senza lavoro stabile, senza un pezzo di terra da poter lavorare, costretti a chiedere una aiuto al governo per mangiare e con un numeroso nucleo famigliare a carico. Neanche la provincia del Chubut ha risposto alla nostra richiesta di terra da lavorare, lo stesso accade con numerose altre famiglie mapuche, che sono nella nostra condizione.

Vogliamo sottolineare che i danneggiati siamo noi della famiglia CURIÑANCO – RÚA NAHUELQUIR, per evitare che qualcuno possa confondere le cose.

Distintamente
ROSA RÚA NAHUELQUIR & ATILIO CURIÑANCO

Questo è quanto. La prossima volta che avrete l’occasione di entrare in un negozio Benetton, pensate a Rosa e Atilio!

Torniamo a noi.

La giornata di oggi, oltre ad effettuare il trasferimento da El Calafate a El Chaltén, ci servirà per organizzare i trekking e i prossimi spostamenti patagonici. Per questo ci diamo i seguenti obbiettivi da svolgere in giornata:

  • fare gli auguri di buon compleanno ad Anna e Lara

  • decidere quali trekking intraprendere

  • trovare il modo di arrivare a Puerto Natales (Chile)

  • comprare un K-Way per Nic

  • andare al supermercados per comprar i panini di domani

  • bere molta birra artigianale in preparazione ai trekking

  • nutrirci abbondantemente

Usciamo in autobus da El Calafate e veniamo risucchiati dal deserto patagonico. Maciniamo chilometri in mezzo al nulla interrotto solamente da qualche coraggioso Guanaco e dall’azzurro intenso dei laghi Argentino e Viedma; impossibile resistere a scattare qualche foto da dietro il finestrino del pullman.

Il paesaggio, complice la giornata di sole pazzesco è stupendo! Tra una foto e l’altra dormiamo e discutiamo delle nostre vite, di come si sta in Italia e di come si sta in Argentina, del mondo che sta cambiando, delle persone a cui vogliamo bene, finchè all’improvviso la distesa desertica è interrotta da un possente massiccio innevato: è il Fitz Roy.

Siamo quasi arrivati! Prima però una vera chicca per turisti: la sosta da LA LEONA, una locanda dichiarata patrimonio storico e culturale della provincia di Santa Cruz. Qui infatti nel 1935 han trovato rifugio nientepopòdimenochè Butch Cassidy e Sundance Kid, i due mitici fuorilegge in fuga dopo aver ripulito il Banco do Londra e Tarapacà a Rio Gallegos.

Pensiamo bene di celebrare i due banditi con due grossi alfajores, un tipo di dolce composto da due biscotti uniti da un ripieno di pan di spagna e generalmente ricoperti di glassa cioccolatosa. Buonissimi! Alla vostra salute Butch e Sundance!

Ripartiamo. Prima di entrare a El Chaltén, il pullman si ferma presso il quartier generale delle guardie forestali. Ancora una volta ci dividiamo in English e Spanish speaking, e gli addetti ci raccontano come son segnalati i sentieri, che tipi di animali potremmo incontrare (puma compresi!!!) e soprattutto ci fanno mille, giustissime, raccomandazioni necessarie a mantenere il territorio pulito e intatto nella sua bellezza. Non accendere fuochi in nessun caso, portare con se la spazzatura prodotta, ma soprattutto ci confermano quanto di più stupefacente avevamo letto prima di partire: El agua es potable! The Water is drinkable! L’acqua se poe bevare! Tutta l’acqua che troveremo in natura durante i trekking si può bere!

Se provate a pensarci non ci si può credere: bere acqua in natura senza il timore di beccarsi il colera, o perlomeno un po’ di cagotto! Non avere il timore che nei dintorni ci sia Homer Simpson a gestire una centrale nucleare o un termovalorizzatore qualsiasi gestito dalla mafia. Che bello!

Dalla stazione degli autobus raggiungiamo il nostro ostello a piedi. Lo de trivi si chiama. Ovviamente è quello più distante, ma è molto carino e non c’è traccia di vecce assassine… per ora. Ci sistemiamo nella nostra stanza di un metro quadrato occupata per metà dal letto a castello e siam pronti per uscire ad esplorare il villaggio e ad adempiere ai nostri doveri. Ah, i cellulari a El Chaltén non prendono. Possiamo tenerli spenti. Esiste un internet point con connessione medievale dal quale riusciamo a:

  • fare gli auguri ad Anna e Lara via facebook

  • prenotare un ostello a Puerto Natales

  • prenotare l’autobus che ci porterà a Puerto Natales via telefono a gettone (tanta nostalgia di questi anni ’80)

Durante il Pranzo/merenda a base di zuppa e verdura fresca decidiamo che nei prossimi giorni affronteremo due trekking: il primo nei dintorni del Fitz Roy, della durata di 2 giorni partenza da El Chaltén e arrivo alla Laguna de Los Tres, passando per la laguna Capri e il campamento Poincenot dove monteremo la tenda la prima notte. Il secondo trekking, di un giorno, ci porterà invece alla laguna Torre, ai piedi di una delle montagne simbolo per tutti gli appassionati di alpinismo: il mitico cerro Torre.

Così è deciso, l’udienza è tolta!

Invece no. Decidiamo di svelare i nostri piani al proprietario dell’ostello che ci ospita il quale, con tanto di previsioni meteo alla mano, ci sconsiglia di piantare la tenda nei prossimi giorni causa gravi fenomeni meteorologici in arrivo.

Che fare? Vabeh vorrà dire che faremo le inizialmente previste due tappe in una!!! Quasi 30 km in un giorno, con un allenamento da sagra della salsiccia. Sepoffà, tanto qui il sole tramonta verso le 22:30, forse torneremo rotolando, ma con il chiaro.

E a questo punto che fare se non sbronzarci di birra artigianale, il nostro ultimo, ma non meno importante, obbiettivo della giornata?

Ci accomodiamo in un tavolino esterno di un bar qualunque con alle spalle il Fitz Roy sormontato da nuvole pazzesche, sembrano quasi due dischi volanti in equilibrio sulla punta.

Numerose cervezas più tardi decidiamo che è il caso di andare a cena e salta fuori un volantino di un ristorante che avevam trovato in stazione. Si chiama COMO VACA che significa MANGIO VACCA ma anche COME UNA VACCA. E’ decisamente il posto che fa per noi. E mai scelta fu più azzeccata: prendiamo due chorizo beef alte 10 cm cotte alla griglia dal diavolo in persona. Un vero maestro di vacche cucinate. Da bere un disceto malbec.

Le proteine ci schizzano subito nel sangue. Siamo pronti ad affrontare il trekking di domani!

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LA VECCIA Y EL CORTéL

Dia 4 – lunedì 13 febbraio 2012

El Calafate – ore 6:30

Sembra proprio che in queste vacanze non potremmo evitare di alzarci prematuramente, peggio ancora di quando andiamo a lavorare!

Ci vestiamo scambiando parole confuse, in un dialetto primitivo, e una volta vestiti scendiamo le scale, pronti a divorare ogni cosa si incontri sul nostro cammino.

Ci sediamo al tavolo famelici ed ecco che appare tra la nebbia fitta dell’ostello la nostra cara veccia. Ci saluta e, con nostro rammarico, ci mette sul tavolo quattro poveri dischi di pane e una misera ciotolina di marmellata e burro. La giornata inizia bene! Dovremmo fermarci a cacciare della selvaggina prima di arrivare al Perito Moreno.

Iniziamo a consumare il rancio assieme a una simpatica signora Argentina che ci racconta dei suoi viaggi, tutti e tre mangiamo lo stesso pane e marmellata… ignari di ciò che ci aspetta.

Di colpo arriva la veccia, guarda costernata la signora al nostro fianco e le dice lanciando lampi d’odio nei suoi confronti: “No! La sua razione è questa!” e con gesto nervoso le strappa violentemente il coltello di mano, sbattendole il suo cibo sul tavolo. Con la veccia non si scherza. Mai. Spaventati decidiamo di tagliare la corda. Per fortuna arriva subito il nostro autobus e quindi filiamo fuori al gelo e saltiamo su.

L’autobus attraversa El Calafate tra le luci dell’alba. I primi viaggiatori sotto gli zaini pesanti cercano un alloggio mentre noi sfrecciamo in direzione del Perito Moreno, emozionati per il vicinissimo incontro con questo spettacolare colosso di ghiaccio.

Passiamo su un’altra corriera colma di gente e ci sistemiamo in fondo… come sulle care vecchie FTV.

Un arcobaleno è il segnale che ormai ci siamo lasciati la veccia alle spalle. La giornata può iniziare!

Siamo assieme a persone di tutti i luoghi del mondo, dall’Asia all’Europa, dal medio Oriente all’America. Per circa un’ora viaggiamo tra lande sconfinate e brulle, una specie di steppa sudamericana e la guida ci da le prime istruzioni e informazioni sul ghiacciaio. La vegetazione inizia a cambiare poco a poco finchè la steppa lascia spazio a verdi boschi e cascate. Il panorama, nonostante la pioggia che cade lieve, è affascinante. Arriviamo all’entrata del Parque Nacional los Glaciares, paghiamo i nostri 100 pesos tariffa europei e ci facciamo timbrare il passaporto con il timbro del parco. Vogliamo che questo passaggio rimanga indelebile! Adesso siamo pronti per te, Perito Moreno.

L’autobus prosegue per altri dieci minuti circa tra la nebbiolina del mattino e di colpo, girando una curva secca, lo vediamo per la prima volta, in lontanzanza, offuscato dalla nebbia ma ugualmente imponente. Un vero e proprio muro di ghiaccio schiacciato tra i versanti di due montagne!

L’emozione cresce e le esclamazioni di stupore (spesso colorite in stile veneto) si sprecano.

Dopo pochi minuti ancora, scendiamo dall’autobus e ci dirigiamo cavalcanti verso le passerelle che costeggiano il ghiacciaio. Adesso ce l’abbiamo davanti e non possiamo credere ai nostri occhi.

Ciò che abbiamo visto è molto difficile poterlo descrivere… Nemmeno le foto riescono a rendere la straordinaria potenza di questo ghiacciaio.

Come diceva il nostro grande Meneghello: “Non si può più rifare con le parole”. Bisogna andarci e questo è quello che vi invitiamo a fare prima o poi nella vita.

Il muro di ghiaccio sembra un’impressionate scultura barocca, con picchi, salti, rientranze e cadute che, assieme al cielo grigio che ci sovrasta, gli conferiscono un aspetto quasi inquietante. In alcuni tratti è alto settanta metri e sotto il livello dell’acqua ve ne sono altri centocinquanta invisibili.

L’imponenza di questo spettacolo naturale bianco, blu, celeste e azzurro quasi fluorescente è in grado di toglierti la parola per diversi minuti, di lasciarti ammutolito con la bocca aperta e zitta. Quasi nessuno parla. Si ha la sensazione di essere di fronte e qualcosa di incontrollabile, una forza che va oltre ogni possibile immaginazione.

Il fiume di ghiaccio scende dalla montagna per diversi chilometri e quello che noi vediamo è solamente la “microscopica” parte finale. C’è un mondo di ghiaccio che sale su per la montagna che non possiamo nemmeno provare a concepire. Ghiaccio denso, compresso, una riserva di acqua potabile impressionante.

Camminiamo in silenzio, parlando solamente di quando in quando mentre la pioggerellina ghiacciata ci schiaffeggia il viso. Tutto quello che diciamo è riferito all’immensità che abbiamo davanti e scattiamo povere foto, cercando di farle uscire bene, ma sempre con la malinconia di chi sa che non potranno mai farci rivivere veremente la profondità di questo momento unico. Ciò che si vive qui si può vivere solo qui. Rimaniamo a contemplare a lungo prima di ritornare all’autobus, camminiamo a destra e a sinistra silenziosi. E’ meraviglioso.

Ora ci aspetta la parte più bella. La navigazione e il trekking sul ghiacciaio.

Dopo pochi minuti di autobus raggiungiamo uno dei rami del lago Argentino, salutiamo Renzo e Lucia, e saliamo su una barca che ci trasporterà dall’altra parte, dove inizieremo il trekking.

La barca costeggia il ghiacciaio che ora ci sembra ancora più alto. Siamo praticamente sotto la parete e sentiamo scricchiolare le lastre di ghiaccio che si staccano e crollano fragorosamente nel lago, ma non riusciamo a vederle.

Il rumore è fortissimo, come il risultato di migliaia e migliaia di fogli di carta che si accartocciano contemporaneamente. La traversata è emozionate.

Arriviamo sull’altra sponda e raggiungiamo dei rifugi in legno nei quali, dopo aver ricevuto istruzioni dalle guide, mangiamo e riposiamo. Dopo un pò siamo pronti per partire.

Andiamo a calpestare questo immenso cumulo di ghiaccio cazzo! Partiamo divisi in due gruppi, uno che parla inglese e uno che parla spagnolo e dopo pochi minuti e una lezione di “ghiacciologia” arriviamo ai piedi del mostro bianco, pronti ad affrontarlo.

Ci infiliamo i ramponi (FATTA ANCA QUESTA!!!) sotto gli scarponi, necessari per camminare sul ghiaccio e partiamo, ognuno col suo gruppo costeggiando il crinale ovest. Faremo un giro di un’ora e mezza.

Nicola: Mi sento un pò goffo camminando con questi aggeggi ai piedi, sembra di essere un robot. Il mio gruppo è piuttosto vario, ci sono giovani, bimbi e anziani. Si cammina lentamente e la nostra guida, davvero un grande, ci spiega come il ghiaccio si muova e si rinnovi con grande velocità. Il perito Moreno è uno dei pochi ghiacciai della zona ad essere “vivo”, in movimento rapido e continuo. Scopro così che non è “preistorico come pensavo” ma che la sua formazione risale al massimo a 700 anni fa. Il ghiaccio che calpestiamo sudando verso l’alto, ha all’incirca tra 350 e 600 anni. E’ proprio come essere su una normale montagna, ma completamente azzurra e bianca. Il sole a tratti compare tra le nuvole e il suo riflesso brucia gli occhi. I segni del movimento si vedeno nitidamente. Vi sono ruscelli e crateri dai colori sgargianti che costellano tutto il terreno ghiacciato. La bellezza delle colline, dei picchi e delle cadute è soprendente. Passiamo a fianco di un piccolo ruscello recentemente formatosi e non resisto alla tentazione di provare l’acqua cristallina. Mi inginocchio tra le schegge gelate e infilo bocca e naso nell’acqua che scende libera dal costone. La sensazione è indescrivibile, una purezza liberatoria dopo i mesi passati in città, il sapore giusto per accompagnare questo silenzio. La freschezza di questo nettare che scende dalla montagna è davvero speciale. Vi immergo le mani e godo del brivido che mi attraversa la schiena. Mi sento davvero in pace. Mi alzo e osservo la salita di ghiaccio che si perde verso le nuvole, faccio un giro su me stesso osservando la verginità del paesaggio intorno, dei boschi e delle rocce che non si muovono da migliaia di anni. Proseguiamo tra canali e colline gelate per diversi minuti ancora e poi, poco a poco ritorniamo piedi del ghiacciaio.

Jacopo: non posso che sottoscrivere quanto già detto dal collega… quest’esperienza sui ramponi è stata davvero emozionante e divertente. Camminare sulla schiena del mostro di ghiaccio che cresce di oltre 2 metri al giorno. Pazzesco! Chi se lo sarebbe mai immaginato. Quello che posso dire in più è che nel mio gruppo di “English speaking” c’eran moltre più belle ragazze (ehmm si vabeh, nel blog non posso essere più volgare) rispetto al suo che era farcito di anziani. Soprattutto 4 israeliane (riconoscibili dai paraorecchi rosa) un po’ caciarone ma valide e due francesi velenosissime (riconoscibili dai pantaloni amarilli). Me nono me dixeva sempre: “Jacopo studia l’inglese!!!!” quanta raxòn che gaveva!!! Dal Tardini mi sembra di aver detto tutto, lineaaaaRRoma.

Ed ecco il finale tipicamente turistico della giornata: la bevuta di un buon wisky rifrescato dalle scaglie di questo paradisiaco Perito Moreno. Ci ritroviamo, ci scambiamo un abbraccio e via con i meritati brindisi sui ramponi!!! Ci raccontiamo della nostra avventura separata. Felici, con la gioia e lo stupore di aver compiuto questa esperienza, siamo pronti a ritornare al campo base.

Risaltiamo sulla barca contenti e con un pizzico di malinconia, ancora qualche minuto di navigazione e il Perito Moreno uscirà nuovamente dalla nostra vita, scomparendo dietro al crinale del monte. Ce lo siamo goduti. Mentre stiamo girando l’angolo però, inaspettatamente, ci saluta con l’ultimo numero spettacolare. Un’enorme lastra di ghiaccio si stacca all’improvviso dal muro e cade frantumandosi a contatto con l’acqua. Stupendo, quanto l’abbiamo aspettato.

Grazie Perito Moreno, ci hai regalato un giorno indimenticabile e a te dedichiamo questa canzone dai toni maestosi (qualcosa tipo POPOM-POPOM)

Rientriamo a El Calafate stanchi e viola in faccia (we are violet), ma completamente estasiati. Il petto è gonfio di soddisfazione. Una buona cena con birre artigianali, una passeggiata per El Calafate e a dormire come orsi. Domani si parte per El Chaltén…

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