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EL CEPILLO LLENO DE PELOS

Dia 12 – martedì 21 febbraio 2012

Ushuaia – ore 9:00

Ci svegliamo tranquilli nella pace dell’ostello, cullati dal suono del vento che muove le finestre, e ci prepariamo per visitare EL FIN DEL MUNDO.

Dopo un’ottima colazione assieme agli altri viaggiatori, scriviamo qualche mail agli amici e ci vestiamo belli pesanti per affrontare la fredda estate patagonica. Partiamo a piedi sul lungo mare e facciamo un bel pó di km verso il centro, costeggiando la baia disseminata di barche e chiusa tra le montagne coperte di neve che si affacciano sul mare.

Vi sono anche alcuni relitti di navi incagliate sulla costa, rimasti li come monumenti storici ai bordi del porto. Il vento è veramente fortissimo. Ushuaia ci appare subito come un luogo diverso da molti altri. Una città piena della storia di moltissimi esploratori che, a seconda della loro direzione, l’hanno scelta come meta o come punto di partenza. Difficilmente può essere un punto di passaggio. Noi l’abbiamo scelta come meta finale e così appare ai nostri occhi. Il nostro grande viaggio si concluderà qui, dove romanticamente il mondo finisce, nella città più a sud che si possa trovare, sotto di noi, a 1000 km in linea d’aria, c’è l’Antartide, il continente di ghiaccio, la distesa bianca, un Perito Moreno sconfinato e inimmaginabile.

Ushuaia è stata ed è ancora oggi teatro di uno degli eventi storici che più hanno sconvolto l’Argentina negli ultimi anni. A pochi km da qui, nell’oceano Atlantico, vi sono le Islas Malvinas (Falkland per gli Inglesi) che, come vi abbiamo raccontato all’inizio della nostra storia, sono state teatro di un terribile conflitto bellico che nel 1982 ha visto Argentina ed Inghilterra scontrarsi per il dominio di questo pezzo di mondo. Le isole sono ora territorio inglese e in questi ultimi mesi la questione del possesso è tornata di grande attualità, creando nuovamente una forte tensione fra i due paesi. La ferita e in alcuni casi la rabbia legata a questo conflitto, si nota intensamente camminando sul lungo mare verso il porto della città; ovunque vi sono monumenti che ricordano il conflitto e i giovani soldati uccisi. Addirittura all’entrata del porto vi è un cartello che recita: “Prohibido el amarre de los buques piratas ingleses” che significa PROIBITO L’ATTRACCO DELLE NAVI PIRATA INGLESI.

Adesso capiamo ancora meglio quello di cui vi avevamo parlato nel secondo capitolo del nostro viaggio (Dia 2 – IVA MATANDO PARRILLAS); quell’incredibile gol di Diego Armando Maradona nel mondiale del 1986 contro l’Inghilterra ha per questo paese un significato che va al di là della vittoria calcistica. Con quel gol si è compiuta la vendetta nei confronti dell’invasore inglese. Ci chiediamo se basterà…

Dopo aver camminato per circa un’ora accompagnati dai gabbiani, arriviamo al porto dove, nel mezzo di un cortile, raggiungiamo il punto di arrivo ideale di questo viaggio, la meta ultima che tanto avevamo sognato prima di partire: troviamo infatti il cartello che recita USHUAIA: FIN DEL MUNDO e ci spariamo un buon numero di meritate foto, celebrando questo momento indimenticabile.

Missione compiuta! Lagrime ai occi.

Ci consultiamo brevemente e decidiamo di fare un’escursione per visitare il mitico faro della fine del mondo e conoscere le colonia di pinguini e leoni marini della zona. Entriamo in diverse agenzie per chiedere informazioni e prenotiamo un’uscita in barca di cinque ore che ci farà fare il giro completo del canale di Beagle oltre ad un piccolo trekking in mezzo alla colonia di pinguini che ci immaginiamo già passarci accanto con il loro buffo camminare. La nostra barca salperà alle tre del pomeriggio, abbiamo quindi un bel po’ di tempo per riposarci e nutrirci prima della partenza. Intanto poco a poco il vento comincia a soffiare con maggiore forza.

Ci dirigiamo verso gli antichi caseggiati del centro e in un attacco di taccagneria fulminante decidiamo che per pranzo faremo un pic nic all’aperto. Entriamo quindi in un supermercato dove acquistiamo pane e formaggio. Per completare l’opera pensiamo bene di mangiare i nostri panini in strada, seduti su una panchina alla fermata dell’autobus, mentre l’aria gelida che viaggia a cento km orari ci schiaffeggia la faccia.

Consumiamo il nostro rancio e decidiamo che è troppo freddo! Ci rifugiamo quindi in un bar dove tra una lettura e l’altra degustiamo dell’ottima birra artigianale al miele, ci voleva proprio.

Il tempo passa e ci avviciniamo alle ore 15. Eccitati per la vicina avventura in mare, usciamo dal bar e voliamo fino al porto pronti a salire sulla barca ma, mano a mano che ci avviciniamo, ci rendiamo conto che questo non avverrà. Il porto è infatti in preda al panico, un brulicare di gente che grida e corre da una parte all’altra. Cerchiamo di capire che diavolo succede finchè l’agenzia ci comunica che, causa vento troppo violento, le autorità portuali hanno deciso di chiudere il porto. Nessuna barca salperà per tutto il pomeriggio.

Ed è cosí che anche il porto di Ushuaia viene invaso dalle nostre “dolci” imprecazioni. Ancora una volta Germano Mosconi ora pro nobis.

Rassegnati, decidiamo di dedicarci a ciò che sappiamo fare meglio. Giriamo le spalle al porto e ci dirigiamo verso un ristorante di pesce dove prenotiamo per la cena, dopodichè ritorniamo in centro per dedicarci alla degustazione di nuove e ancora sconosciute birre artigianali.

La giornata però è ancora lunga e il nostro buon senso turistico ci spinge a breve alla ricerca di nuove mete di esplorazione. Visitiamo quindi il famoso “museo del fin del mundo” e “l’antica casa del governo municipale” che ci raccontano la storia di questa città.

Ushuaia fu originariamente chiamata così dai primi coloni inglesi, dopo il nome nativo Yàmana attribuito dagli indigeni. Per gran parte della prima metà del XX secolo, la città fu centro di una prigione per criminali pericolosi. Essendo un’isola remota, scappare da una prigione nella Terra del Fuoco sarebbe stato impossibile. Più di recente, esattamente il 28 ottobre 1948, da Genova partì una spedizione titanica capitanata dall’imprenditore edile italiano Carlo Borsari, con l’intento di costruire una città e portarci a vivere 1000 abitanti, tutti italiani. Fu l’allora presidente dell’Argentina Juan Peròn, timoroso di invasioni nell’Antartide, a decidere di popolare la Patagonia e concedere l’appalto per i lavori all’imprenditore bolognese, ambizioso uomo d’affari in un dopoguerra italiano che prometteva onori e soldi a chi aveva la capacità di trovare manodopera disposta anche a sacrifici pur di lavorare.

Si lavorò due anni, col freddo e la neve, senza luce e in condizioni dure per costruire opere murarie e idrauliche, case e chiesa. La lena venne un po’ dall’orgoglio nazionale e un po’ dal sapere che nel contratto era previsto il ricongiungimento con le famiglie lasciate in patria. E quando tutto fu pronto, da Genova salpò un’altra nave, il 6 settembre 1949. Sulla “Giovanna Costa” c’erano le famiglie dei 650 immigrati del primo scaglione. Molti scelsero di tornare in Italia alla consegna della città, alcuni restarono o si spostarono a Buenos Aires. Sessant’anni dopo, il 40 per cento degli abitanti di Ushuaia ha un cognome italiano.

(cit. qn.quotidiano.net)

Anche se non è andata secondo i piani siamo molto contenti della giornata e andiamo a prendere un buon aperitivo scrivendo cartoline ai nostri amici, parenti e perfino a noi stessi.

La giornata si conclude quindi in modo magistrale. Mentre il sole si addormenta sul fondo della baia, entriamo al famoso ristorante Volver, dove ci abbuffiamo di buon pesce prima di essere sorpresi dalla stanchezza. Si torna in ostello, domani torneremo ad indossare le pedule per il nostro ultimo grande trekking nella natura selvaggia.

Buonanotte Ushuaia.

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IVA MATANDO PARRILLAS

Dia 2sabato 11 febbraio 2012

Buenos Aires – ore 9:00

Dolce è il risveglio nel tepore estivo di un appartamento di Buenos Aires. La giornata è splendida, nemmeno una nuvola si permette di rovinare il blu intenso del cielo e l’umidità non è poi così aggressiva. Riempiamo il termos con l’acqua che ci servirà per bere il mate e ci immergiamo nel mercado de San Telmo, un vero e proprio bazar turkish style anche se un po’ meno colorato, anche perchè molti banchi non sono ancora aperti. Ci si spara una colazione a base di medialuna (ancora la Turchia?!?) e spremuta d’arancia.

Colazionati, partiamo a piedi in direzione Palermo, un quartiere che è molto più grande della città di Palermo, quella in Italia. Abbiamo voglia di raggiungerlo a piedi e chiediamo informazioni su come arrivarci. Tutti ci guardano come fossimo impazziti e noi li tranquillizziamo dicendo che abbiamo voglia di camminare. Si si, bravi, camminate!

Dopo esserci persi più volte arriviamo al quartiere de La Boca dove decidiamo che la camminata si può concludere (mezz’ora in tutto). Difficile non accorgersi che siamo nella Boca, i muri delle case sono interamente dipinti di gialloblù e i bar espongono bandiere degli stessi colori. L’Estadio Alberto J. Armando ovvero “La Bombonera”, la casa del Boca Junior, è imponente e almeno per noi europei è uno degli stadi simbolo del calcio sudamericano! Non possiamo quindi tralasciare una visita al museo del club e al campo da gioco… Impressionante davvero. Si tratta di un vero e proprio “catino” pronto a contenere 60.000 persone inferocite. Solo lontanamente riusciamo ad immaginare cosa significhi assistere ad una partita in questa gabbia. Magari uno dei tanti derby di Buenos Aires, magari Boca Junior – River Plate.

E anche qui è impossibile non tornare col pensiero alla grande storia dell’immigrazione italiana in Argentina. La Boca è stato il porto principale dove hanno messo piede migliaia di italiani sbarcati nel continente. Qui iniziavano la loro nuova vita, stabilendosi in baracche e arrangiandosi nei primi mesi dopo l’arrivo, cercando lavoro, organizzandosi. Il Boca Juniors pensate, è stato fondato dagli immigrati genovesi e infatti ancora oggi i giocatori della squadra sono soprannominati “Los Zeneises” e cioè “I Genovesi”, da Zena (Genova). Il calcio in Argentina (come in Italia del resto, ma molto di più) non è solo uno sport, è un fenomeno sociale potentissimo che condiziona la vita del paese. E’ una religione per molte persone. Appena usciamo dallo stadio ne abbiamo subito una dimostrazione; prendiamo infatti un taxi che ci dovrà accompagnare nel quartiere di Palermo (abbiamo deciso che è meglio andare in auto) e il taxista, appena scopre che siamo italiani, inizia a parlare e non la smetterà più per cinquanta minuti filati, un mito! Ma di cosa ci ha parlato? Di calcio ovviamente!!! E da buon fanatico fino all’estremo della squadra dell’Argentino Juniors, il suo racconto non poteva non includere un elogio al genio che questa squadra ha forgiato: Diego Armando Maradona. Gli hanno persino intitolato il loro stadio.

Maradona per gli argentini non rappresenta solo un giocatore di calcio. Con i suoi piedi geniali e il suo carisma è andato molto più in là di questo semplice ruolo. E’ diventato il leader di un paese e di un popolo. Lui, ragazzo povero proveniente da una villa (favela), ha saputo imporre al mondo il suo punto di vista, regalando attraverso le sue giocate emozioni che vanno oltre lo sport, che hanno a che fare con il riscatto del suo popolo. Non si è limitato a produrre capolavori e a distribuire emozioni negli stadi di Buenos Aires, ma lo ha fatto anche a Napoli (che fu la prima squadra del sud d’Italia a vincere un campionato), ma soprattutto in Messico, in quel mondiale in cui l’Argentina da lui guidata si è laureata Campione del Mondo. Quel gol che tutti e tutte abbiamo visto almeno una volta, straordinario e indimenticabile, che ha marchiato a fuoco la storia del calcio, non l’ha segnato contro una squadra qualsiasi e in un momento storico qualsiasi. Quel gol l’ha segnato contro l’Inghilterra e solo quattro anni dopo la terribile guerra delle Islas Malvinas (Isole Falkland), dove migliaia di giovani argentini persero la vita in uno scontro terribile contro gli inglesi.

La questione delle Islas Malvinas è ancora molto sentita, ed in modo particolare è riemersa quest’anno che ne ricorre il trentesimo anniversario (1982 – 2012) e questo lo verificheremo di persona più avanti nel nostro viaggio, ad Ushuaia. L’Argentina continua a rivendicare il suo legittimo possesso delle isole davanti all’Inghilterra che non sembra voler aprire un tavolo di discussione.

Nel 1986 la tensione era altissima e segnare un gol all’Inghilterra, in un quarto di finale, gonfiare la rete di questi avversari politici e sportivi che sono stati gli inventori del calcio, ha rappresentato per il popolo argentino molto più di un gesto atletico.

L’emozione e l’importanza di quel momento si possono comprendere bene ascoltando la radiocronaca originale del grande telecronista sportivo Victor Hugo Morales, che è entrato nella storia quel giorno, assieme a Maradona.

 

Arriviamo a Parlemo dove ci incontriamo con Roberto e Ada che sono appena tornati dall’Uruguay assieme a Marco ed Elisa. Ci salutiamo e ci beviamo una birra assieme, raccontandoci qualche aneddoto sulla Bolivia. Loro lavorano lì e domani ritorneranno a La Paz e Cochambaba. Ciao Roby, un abbraccio!

Dopo esserci salutati prendiamo la metropolitana e decidiamo di andare alla piazza del Congresso, questa costruzione impressionante che è il cuore politico del paese assieme alla casa Rosada. Che facciamo? Giriamo un po’ per la piazza? No, andiamo a mangiare, anzi a nutrirci!

C’è uno dei migliori ristoranti di empanadas a pochi metri. Entriamo così al ristorante “la Americana” dove ordiniamo delle empanadas gonfie, buonissime, con il grasso del formaggio che ti scende giù in gola denso, solleticando i denti. Le empanadas potremmo definirle come i panzerotti argentini (o forse i nostri panzerotti sono le empanadas italiane?), ma sono molto più varie nei sapori e posso essere al forno o fritte. Una volta usciti ci dirigiamo verso la prossima meta, un altro luogo importantissimo per gli argentini: Plaza de Mayo.

Questa piazza, dominata dalla casa Rosada (la casa del presidente o meglio della presidentessa Crisitina Fernandez) è un luogo “sacro” per il popolo Argentino. Dai balconi della casa che danno sulla piazza, il generale Peròn e sua moglie Eva davano i loro discorsi ai migliaia di manifestanti riuniti. La piazza è stata protagonista dei momenti più importanti della storia del paese. Uno dei quali purtroppo a che vedere con il periodo più nero, quello della brutale dittatura militare che ha violentato il paese dal 1976 al 1983. Il governo militare di Videla e compagni (molti dei quali da poco condannati all’ergastolo) ha rappresentato uno dei più tragici momenti di sospensione dei diritti umani che la storia abbia conosciuto. Le vittime della dittatura, i desaparecidos (gli scomparsi), sono state ben 30.000. Un genocidio politico. Plaza de Mayo è stato il teatro della lotta delle madri di queste donne e uomini, che ogni giovedì dal 1983 si riuniscono e fanno un giro della piazza per chiedere al governo giustizia per i propri figli scomparsi, molti dei quali non si sa ancora che fine abbiano fatto. Ci sediamo a pensare.

Decidiamo di sederci un poco a contemplare la piazza, ci mettiamo all’ombra, fa un caldo terribile, è arrivato il momento di gustarci un buon mate. Che bella cosa!

http://www.youtube.com/watch?v=KCfj7XNCLRw

Il mate è uno dei rituali più interessanti e piacevoli che si possano trovare in Argentina. Un simbolo di amicizia, dello stare assieme, del condividere. Si riempie con quest’erba particolare la buccia dura di questo frutto (che si chiama appunto mate) e le si versa dentro acqua quasi bollente creando un infuso dal sapore intenso e un po’ amaro, che disseta. Si beve il proprio sorso e poi si passa ad un compagno. Si beve seduti in cerchio e tutti dalla stessa cannuccia. Quando qualcuno ti offre un mate significa che ti rispetta e che ti è amico.

Ci sediamo quindi e prepariamo l’infuso. Io bevo il primo sorso e poi lo passo a Jacopo che è alla sua prima esperienza. “Ecco a lei hermano”. Ciube tira dalla cannuccia e subito il suo viso assume una connotazione perplessa e mi dice: “Ehmm, un misto tra una staccionata di una malga e una mucca…”. Esplodiamo a ridere! Il mate effettivamente ha un sapore forte e il primo impatto è strano. Ci vuole pratica, ma quando ci si abitua non lo si molla più.

Ormai si è fatto tardi ed è ora di inziare a rientrare a casa. Salutiamo Plaza de Mayo e la casa Rosada che la domina e ci incamminiamo su Avenida de Mayo, dove ci fermiamo a comprare un paio di piantine grasse, due cactus, da regalare a Cecilia, che è appassionata di piante. Ce le vendono una signora gentilissima e il suo figlioletto che, tra grasse risate (e grasse piante), ce le impacchettano in un modo quantomeno bizzarro… spartano diciamo, per la paura di conficcarsi una spina nelle dita. Che bel momento.

Dopo un aperitivo torniamo a casa a piedi, attraversando la Avenida 9 de Julio, la strada più larga del mondo, e veramente bisogna proprio ammetterlo, è proprio larga! Arriviamo a casa, ci docciamo e siamo pronti per prendere parte all’ultimo rituale argentino in cartellone: l’Asado!

L’asado, detto anche parrilla (la grigliata) è un’arte in Argentina. Non solamente per la prelibatezza della carne che si produce in questo paese (grazie a queste splendide mucche che hanno a loro disposizione pampas sconfinate con erba eccezionale), ma sopratutto per la passione quasi religiosa che gli argentini mettono nel lavoro di cottura della carne sulle braci. Un bravo “asador” conosce perfettamente il suo pezzo di carne e la diversità con gli altri pezzi di carne, il tempo di cui ha bisogno, la quantità di braci necessarie, di sale, il limone…insomma, è come vederli dipingere un quadro. Ci si mette anche un’ora e mezza a cucinare un buon pezzo di carne e l’asado è un’occasione per riunirsi e stare assieme, bere qualcosa e chiacchierare aspettando con l’acquolina in bocca l’arrivo della carne.

Ci dirigiamo quindi al ristorante “El Desnivel”, che tutti dovrebbero visitare prima o poi nella vita. Loro non lo sanno che stiamo arrivando, se lo sapessero scapperebbero. Siamo dei lupi! Los Lobos!

Ci sediamo nel bellissimo ambiente e consultiamo il menù con curiosità e sapienza e decidiamo per un buon Vacìo (non chiedeteci che parte della mucca sia, sappiamo solo che è buonissima) accompagnato da una buona birra scura, insalata e patate fritte. Quando arriva il Vacìo (che in spagnolo significa vuoto) abbiamo un sussulto di gioia mista a panico, non è vuoto per niente. Gioia per il profumo speciale che emana e per il grasso che scintilla come un diamante sopra la carne. Panico per le dimensioni (pregasi consultare relativa fotografia). E’ enorme.

Va ben che ghemo fame…però! Il coltello affonda deciso nel pezzo filoso di carne e lo portiamo alla bocca. Oh deliziosa delizia, scioglievolezza poetica e invadente, leggiadria della lingua e dei denti, estasi delle pupille gustative, morbidezza paradisiaca. Forse per un momento ci siamo commossi. Spettacolare. Maledetto genio colui che ha cucinato questa cosa. Mangiamo fino a sazietà e oltre, assaporando ogni sugo, trangugiando la birra scura e avanzando una tonnellata di patatine fritte che…erano in più! Soliti esagerati. Ci complimentiamo con il cuoco e lasciamo il ristorante dandogli appuntamento per il nostro ritorno tra quindici giorni. Camminando a casa io (Nicola) mi prendo una grappa per digerire la massa ingerita, davvero consistente. Barcolliamo fino all’appartamento e una volta arrivati cadiamo in un sonno profondo.

Grazie Buenos Aires, è stata una giornata memorabile, ma adesso dobbiamo dormire…fra quattro ore abbiamo l’aereo in direzione El Calafate, Patagonia.

Vi salutiamo con questo canzone, che ci ha accompagnati in questa giornata en la capitale:

 

 

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