Dia 3 – domenica 12 febbraio 2012
Buenos Aires – ore 3:00
Drammatica sveglia! OOOH che riposati! Gli uccellini del Mulino Bianco sono ancora in letargo a quest’ora e in bocca c’è ancora il sapore del gran Vacio che abbiam consumato poche ore fa. Recitiamo le orazioni, raccogliamo le nostre cose e con aliti agghiacciati usciamo di casa.
Stiamo per abbandonare la megalopoli per raggiungere il villaggio di El Calafate, regione di Santa Cruz, in piena Patagonia Argentina. La sensazione è quella di passare dall’“intro” alla prima strofa del viaggio.
Raggiungiamo in taxi l’Aeroparque, il secondo aeroporto della città utilizzato per i voli nazionali. Pur essendo molto presto l’aeroporto è affollato, tanto che tra le serpentine del check-in LAN, la compagnia di bandiera cilena con la quale voleremo, ci son dei personaggi che ad alta voce chiamano per le varie destinazioni. Scopriamo che uno di questi signori si chiama Bellin di cognome, Adrian Bellin… proprio come Nicola!!! Che cosa incredibile, l’ennesima conferma di un popolo figlio di una massiccia immigrazione europea e italiana in modo particolare.
Il volo dura circa 3 ore e mezza e fila via liscio tra un sonnellino e l’altro. Verso le 10 arriviamo all’aeroporto di El Calafate… praticamente una baracca in mezzo al deserto spazzata dal famoso vento patagonico di cui tanto abbiamo sentito parlare prima della nostra partenza.
Piero Angela: “La barriera opposta dalle Ande, che si trova ad ovest del deserto, è la ragione primaria della condizione desertica della Patagonia, dal momento che gli alti crinali (superiori ai 4.000 metri) fermano il flusso di umidità dal sud dell’oceano Pacifico…” SPLACH! Ah scusa Piero, non ti avevo visto.
La Patagonia ci da il suo – non in senso letterale – caloroso benvenuto.
Venendo qui da Buenos Aires è un pò come uscire da un concerto dopo esser stati per due ore a fianco degli amplificatori. Il silenzio domina. Un breve tragitto in autobus ci porta fino al centro di El Calafate, una cittadina nata grazie alla vicinanza con il Parque Nacional de los Glaciares, una delle mete obbligatorie quando si visita la Patagonia. Sembra di essere nella “tranquilla” località montana di Twin Peaks, solamente con un pò più di colore, grazie alla presenza di numerosi negozi dedicati al trekking, ristoranti e agenzie turistiche che organizzano escursioni sul Perito Moreno.
Raggiungiamo a piedi l’ostello che ci ospiterà per le prossime due notti. Con l’autobus facciamo un giro assurdo e perdiamo l’orientamento. Così quando arriviamo all’ostello ci sembra di essere ad ore di distanza dal centro e ci guardiamo preoccupati, ma quando dovremmo camminare? In realtà siamo a circa un chilometro.
Non facciamo nemmeno in tempo ad entrare che siamo investiti da un fiume di parole (rios de palabras, come i Jalisse) da parte della “veccia de El Calafate”, la veccia che ormai caratterizza tutti i nostri viaggi in giro per il mondo (come dimenticare la vecia di Kinsale in Irlanda???), anche qui l’abbiamo trovata. Ci vorrebbe costringere a prenotare l’escursione al Perito Moreno tramite loro, onde evitare, dice, di non trovare posto; noi un pò perchè non ci siamo ancora tolti di dosso gli zaini e un pò perchè sentiamo puzza di cadavere provenire da sotto il bancone della reception decidiamo, adducendo scuse improbabili, di declinare gentilmente l’invito della veccia loca. Attraversato il ponte levatoio raggiungiamo finalmente la nostra stanza, stile cella di padre Pio ma con finestra (per fortuna, altrimenti saremmo morti asfissiati). Dopo aver constatato la presenza di un solo wc per tutti gli ospiti dell’ostello, ci infiliamo el capel e ritorniamo in centro per esplorare il territorio, mangiare un boccone e informarci sulle escursioni al mitico glaciar.
Prenotiamo l’escursione minitrekking (visita al ghiacciaio dalle passerelle + barca + minitrekking) presso un’agenzia in cui lavora una gentile signora argentina che vive a Perugia durante i mesi invernali e a El Calafate durante quelli estivi. Tutte le agenzie che abbiamo visitato applicano gli stessi prezzi quindi tutto sommato la vecchia non ci voleva fottere… Peggio! ci voleva uccidere… si sentiva il battito del suo cuore… e anche dei passi!
La veccia però ci aveva dato anche una dritta positiva. A pochi metri dall’ostello c’è una laguna spettacolare che ci invita a visitare. Dopo un pasto fugace ci dirigiamo quindi alla Laguna Nimez, una splendida oasi protetta sulla riva del lago Argentino. Si cammina tra gli splendidi colori stile autunnale, mentre il vento increspa le acque della laguna e ci fa lacrimare. La zona è popolata da un’enorme quantità di uccelli che svolazzano intorno, alcuni molto grandi e pittoreschi, come i fenicotteri. E’ incredibile come ogni specie occupi una zona della laguna senza andare ad invadere quella di un altro gruppo.
Il paesaggio è spettacolare. Sopra di noi, le nuvole assumono forme che non abbiamo mai visto, come pennellate bianche di un pittore impressionista su di una tela celeste e limpida. Sono la cosa più speciale di questo luogo, è impossibile non fermarsi a contemplarle. Continuiamo la passeggiata e finalmente arriviamo al punto panoramico. Una piccola collina che domina il maestoso Lago Argentino, un immenso bacino formatosi dallo scioglimento dei ghiacciai circostanti, di un colore azzurro intenso.
La spiaggia, complice la giornata di sole pazzesco, è davvero magnifica. Impossibile resistere alla tentazione di immergere almeno i piedi nel lago. La temperatura dell’acqua è glaciale e il vento fa il resto. Ci separiamo quasi senza accorgercene ed ognuno di noi si prende un momento, per assaporare solo questo silenzio fatato, rotto solo dal rumore del vento, in mezzo a questo paradiso di colori. Non ce l’aspettavamo questo tour. Come tutte le cose belle e non programmate ci ha colto di sorpresa e… ci sentiamo infinitamente bene. Eccoci qui Patagonia.
Al termine del tour siamo costretti (grandi sacrifici!!!) a rifugiarci in un bar per bere qualcosa di caldo e riposarci. Di ritorno in ostello riusciamo ad evitare la veccia, fiuuuuu, temevamo di doverle dare la notizia di aver prenotato l’escursione al Perito Moreno tramite un’altra agenzia e di doverne pagare le terribili conseguenze. Breve poja e si torna in centro a far la spesa per il pranzo al sacco di domani: pane, affettati e formaggio, ma son finite le salviette di carta! Ci tocca avvolgere i panini nella carta igienica… quando si dice un pranzo di merda…
Ci aperitivizziamo con un paio di birrette (Le birre artigianali roja e negra sono veramente spettacolari in queste zone; nelle loro diverse forme e marche, ci accompagneranno per tutto il viaggio. Una vera tradizione. Che cultura, che civiltà!) e poi ci infiliamo in una tavola calda segnalata anche dalla guida. Troviamo un tavolino ma il ristorante è strapieno! Ordiniamo un’ottima hamburguesa con insalatina fresca ma, un’ora e otto cestini di pane dopo, siamo ancora in attesa dei nostri piatti! Al limite dell’esasperazione, ormai con la schiuma alla bocca chiediamo alla cameriera: “Es previsto comer aquì?”
Si faranno perdonare facendoci un pò di conto sulla cuenta.
Iniziamo ad accusare la sveglia prematura del mattino, proviamo quindi a tornare in ostello e ci riusciamo anche, ma solo dopo esserci persi un paio di volte nel cuore della notte. Nemmeno i cani randagi, di cui El Calafate è piena, si fidano delle nostre traiettorie e poco a poco ci abbandonano al nostro vagare a vuoto. Al nostro ingresso all’ostello, veniamo accolti da uno stormo di teenagers cinesi che militarizzano la sala comune. Non ci resta altro che arrenderci e di ritirarci nel nostro alloggio. Domani il Perito Moreno ci avrà.