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EL ESODO

Dia 7 – giovedì 16 febbraio 2012

El Chaltén – ore 8:00

Sveglia. Acido lattico domina. Estreme difficoltà motorie.

Oggi dobbiamo innanzitutto fare cambio di stanza, o meglio di edificio, o meglio ancora da un edificio in legno e mattoni ci spostiamo in un container anni ’80 stile terremoto in Irpinia. Una stufa a gas interna riscalda l’ambiente ad una temperatura di 3000 gradi Fahrenheit tipo viaggio al centro della Terra. Raccogliamo le nostre cose e a fatica trasferiamo tutto nel nostro nuovo meraviglioso alloggio. Come ieri ci colazioniamo abbondantemente guardando in TV la differita di Milan – Arsenal. Oggi affronteremo il trekking che ci porterà alla laguna Torre. Passiamo al supermercado a prendere pane e affettati e siamo pronti: VIA!

La giornata è splendida, il cielo è terso. Le cime di oggi non potranno nascondersi ai nostri occhi. Man mano che affrontiamo la salita iniziale i nostri muscoli si sciolgono e il dolore causato dall’acido lattico scompare. Ad un tratto una lepre grande quanto un cerbiatto ci taglia letteralmente la strada a grandi balzi. Starà scappando da un predatore?!? Speriamo non sia un puma o peggio ancora un velociraptor, esemplare tipico della zona del Bar Astra a Vicenza. O forse I predatori siamo noi visto che la nostra fame non accenna a diminuire… sarà l’aria australe che fa questo effetto… perchè nell’emisfero boreale non abbiamo mai fame. No no.

Arrivati al monumento al viandante distratto, creato con un solo mozzicone di sigaretta, il sentiero si attesta in piano e molto più avanti iniziamo a scorgere il mitico cerro Torre, una delle più spettacolari cime del Campo de Hielo Sur, situato a ovest del Fitz Roy. La vetta del cerro Torre è considerata fra le più inaccessibili del mondo perché, qualunque via si scelga, bisogna affrontare almeno 900 metri di parete granitica, per arrivare ad una cima perennemente ricoperta da un “fungo” di ghiaccio. La prima ascensione indiscussa del cerro Torre è quella compiuta il 13 gennaio 1974 da una spedizione del gruppo dei Ragni di Lecco; Italians do it better! (cit. Wikipedia).

Dal mirador il sentiero prosegue attraverso colori e paesaggi incredibili, un lungo falsopiano. Siamo circondati inizialmente da una vegetazione bassa, tipo mughetti, poi proseguiamo sotto un fitto bosco costeggiando l’impetuoso rio Fitz Roy. Il cerro Torre adesso è vicino.

Dopo 11 km raggiungiamo il campamento De Agostini e infine la laguna Torre. Adesso lo possiamo quasi toccare. Il paradiso dell’arrampicata. Il cerro Torre e i suoi fratelli brillano nel cielo celeste. Sotto di loro il ghiacciaio e la laguna completano il quadro.

Siamo completamente esposti ad un vento fortissimo e glaciale. Fa un freddo cane anche se indossiamo guanti e calzamaglia! Questa è l’estate patagonica!

Siamo storditi dalla bellezza del luogo, ma poco dopo è la nostra ormai inarrestabile fame a farci ritornare alla realtà. E’ tempo di pranzo! Dopo le foto di rito proviamo a sbafarci il meritato panino al riparo di un grosso masso, ma a breve siamo costretti a battere in ritirata verso luoghi meno battuti dal vento gelido. Ritorniamo sui nostri passi e ben presto scoviamo una spiaggetta naturale in riva ad un ruscelletto. Spettacolo! Ci togliamo le scarpe e riempiamo le borracce. Il tempo di distenderci e sprofondiamo in un sonnellino clamoroso! Al nostro risveglio scopriamo che altre persone ci hanno imitato, tra cui una giovane madre che ha pensato bene di mettersi in bikini a prendere il sole mentre il figlio giocava sulla riva. E’ un bel risveglio non c’è che dire. La bellezza della natura…..

Ma la strada è ancora lunga, ci rimettiamo in marcia e scegliamo una strada diversa da quella dell’andata. Ovviamente si rivelerà più lunga, ma davvero bella soprattutto nell’ultimo tratto in cui il sentiero è a picco sulla gola formata dal rio Fitz Roy. Alla fine sbuchiamo sulla sommità di una collina che domina El Chaltén. Una vera figata. Scendiamo giù in strada in mezzo a soliti pacifici cani randagi e torniamo in ostello (ah è vero siamo nel container stanotte… quasi lo dimenticavamo!). Altri 23 km percorsi. Non male.

Dopo la doccia e un pò di meritato relax decidiamo che per l’ultima sera a El Chaltén ci vuole una cena come si deve. Andiamo sul sicuro: torniamo al COMO VACA. Entriamo nel nostro locale preferito. La cameriera con un sorriso beffardo sembra volerci chiedere: “non vi è bastata quella dell’altra sera?”. La risposta, sottintesa, è ovviamente: “Braci alla massima potenza!!!”.

Questa sera il MANGIO VACCA è stracolmo, così chiediamo a due tipe se possiam dividere il tavolo con loro. Accettano di buon grado (è ovvio! Non ci conoscono…). Sono israeliane. Ci raccontano del loro viaggio che è esattamente lo stesso nostro, solamente fatto al contrario, da Ushuaia a Buenos Aires. Ci siamo incrociati esattamente a metà delle nostre strade. Parliamo di questi posti incredibili, dei posti belli in Italia e in Israele. Quasi contemporaneamente arrivano le nostre sberle di carne e i loro spettacolari browni con gelato (eh si loro erano già al dolce), che ovviamente ci ripromettiamo di prendere a fine cena. Le amiche israeliane si congedano e noi finiamo di sbranare le nostre mucche. Ma stasera siamo carichi e non abbiamo voglia di tornare nel container a dormire. Ci infiliamo in un bar a caso, un pub in stile londinese con un sacco di birre e vini da ognidove. Ne assaggiamo parecchie. Il bar è pieno di gente scoppiata. La musica è tripudio anni 90, pearl jam, soundgarden, nirvana mescolati a qualche gruppo argentino. Bella atmosfera. Entrano anche altri ragazzi e ragazze che avevam trovato alla laguna Torre. Ci sentiamo parte di una grande famiglia di esploratori patagonici. Stamane abbiamo condiviso la stessa fatica. Adesso condividiamo la stessa festa! Ma alla fine arriva lui: uno dei pochi argentini che vivono qui tutto l’anno, anche in inverno in cui qui non rimane più nessuno. E’ il tizio che lavora alla biglietteria della stazione degli autobus. Ci vede, ci saluta, brindiamo alla nostra salute! Lui diretto al bancone, ordina una bottiglia di vino con un bicchiere. E’ il suo personal per la serata. Probabilmente di tutte le sue serate. Lui e la sua bottiglia di vino preferita.

Nicola: Ad un certo punto mi alzo e vado in bagno. Mentre mi svuoto sento un grido mescolato alla musica: “VAMOS TANOOOOSSSS!”. Scoppio a ridere. Quello che grida è il nostro buon bigliettaio che in preda ai fumi dell’alcol si è girato verso Ciube urlandogli per incitarlo a ballare. TANO vuol dire italiano in Argentina. Gli italiani sono LOS TANOS. Perché? La leggenda vuole che arriva dalla parola NapoleTANO. Fra i primi immigrati italiani in Argentina vi erano moltissimi napoletani e si racconta che l’espressione, usatissima nel paese, (tutti mi chiamano Tano Nicola) sia nata da li.

Jacopo: Vedo sto sciopà che urla “VAMOS TANOOOOSSSS!” e mi chiedo: chi casso xeo sto tanos? ma onde evitare di far figure di merda faccio un cenno di intesa con il pollice alto e ordino altre 2 cervezas, tanto per non sbagliare!!! Al ritorno di Nicola dall’ufficio acque, l’amico bigliettaio si ripete e di nuovo grida battendo le mani in piena musica salsa e merengue: “VAMOS TANOOOSSSS!” e stavolta rispondiamo “VAMOS VIEJOOOO!” e battiamo le mani.

E infine, dopo numerosi “ultimi” (perchè l’ultimo xe sempre sta fatto…) uscimmo a rimirar le stelle, e di stelle ce ne sono davvero tantissime nel buio pesto del villaggio. Uno spettacolo incredibile. Ultima notte per noi a El Chaltén, domani si parte per il Cile.

“…february stars
floating in the dark
temporary scars
february stars…”

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COMO VA CA’?

Dia 5 – martedì 14 febbraio 2012

El Calafate – ore 6:00

Ma insomma!!! Perfino Stachanov in vacanza si svegliava alle 9! Daaaiiii che alle 8 abbiamo l’autobus che ci porterà a El Chaltén. Zaini, denti, documenti, è troppo presto anche per fare colazione che viene servita dalle 7. Meglio, così non rischieremo di incrociare la veccia “lanciatrice de cortei”.

Sgattaioliamo via dall’ostello e ci dirigiamo alla stazione degli autobus. Arrivederci grande Veccia! Dopotutto anche qui siamo stati bene (ma dove xe che stemo mae nialtri???)!

El Chaltén è una delle capitali mondiali del trekking. Un piccolo villaggio ai piedi del cerro Fitz Roy, montagna sacra del popolo Mapuche che l’aveva chiamata “La montagna che fuma” a causa delle nubi che perennemente si addensano sulla sua sommità. Questo cerro è rappresentato anche sulla bandiera della provincia di Santa Cruz.

Interessante è l’origine della parola Mapuche che deriva dalla fusione di due termini: CHE, “popolo” e MAPU, “della terra”. Secondo l’ultimo censimento sarebbero rimasti in 600mila, di cui metà nel lato argentino delle Ande. Molti Mapuche ora vivono in condizioni miserevoli in grandi città come Santiago. Ad ogni modo, la resistenza di questo popolo in difesa delle proprie radici continua, soprattutto contro le multinazionali, tra cui la nostra vicina di casa BENETTON, che operano su territori legati alla tradizione spirituale Mapuche.

I più attenti ricorderanno di aver letto, qualche anno fa, delle vicende della famiglia di Rosa e Atilio Curiñanco-Nahuelquir che vivono su pezzi di terreno tra gli ettari di Benetton, che ha acquistato il 10% delle terre della Patagonia per allevarvi pecore da lana. IL DIECIPERCENTO! Centinaia di migliaia di ettari di terra acquistati a prezzi stracciati in quanto classificati come desertici (Desertici un bel picchio! Qui son da sempre vissute le comunità Mapuche!!!). Il triste risultato di tutto ciò è che in questo momento ai Mapuche è negata anche l’acqua; cancelli e recinti UNITED COLORS sono ormai ovunque. Ed è per questo che nel febbraio 2007 i Mapuche, guidati da Rosa e Atilio, hanno fondato la Comunità di Santa Rosa, per protestare contro Benetton che li ha espropriati dei territori che spettano loro di diritto per discendenza. Nel maggio del 2006 Atilio e Rosa hanno scritto una lettera aperta a Luciano Benetton e al premio nobel per la Pace argentino Esquivel, prendendo spunto da una strana sentenza emessa dal tribunale della provincia di Chubut, in Patagonia; nel maggio 2004 infatti Atilio e Rosa hanno dovuto affrontare un processo per “usurpazione” promosso dalla multinazionale italiana Benetton.

Ed ecco il testo integrale della lettera (tratto da it.mapuches.org)

Esquel, Chubut, Patagonia, 21 maggio 2006

A tutta l’opinione pubblica,
nell’ottobre 2002 siamo stati violentemente sgomberati dal fondo Santa Rosa, nella zona di Leleque, provincia del Chubut (Argentina) in seguito ad una denuncia penale promossa dal gruppo italiano Benetton, che ostenta una proprietà di 900.000 ettari nella Patagonia, “donata” da un presidente argentino. Lo sgombero è stato ordinato dall’allora giudice d’istruzione José Colabelli, oggi destituito per il cattivo disimpegno e la non scusabile mancata conoscenza del diritto.

In quel fondo avevamo realizzato numerose migliorie e lavori agricoli come: un orto, piantato delle fragole, una baracca, un canale di irrigazione ed allevato animali quali buoi, cavalli, galline, oche e tacchini. Avevamo anche costruito una piccola abitazione. E’ stato tutto raso al suolo e la Compañía de Tierras di Benetton ha distrutto tutti i lavori effettuati.

Nel maggio 2004 il Tribunale della provincia del Chubut ci ha assolti totalmente dall’accusa penale, ma ha sentenziato la restituzione del fondo alla Compañía de Tierras (Benetton).

Nel settembre 2004 il signor Adolfo Pérez Esquivel ci ha fatto sapere che Benetton aveva offerto un intervento riparatore per la nostra famiglia. Abbiamo risposto a Benetton, attraverso il Serpaj e Pérez Esquivel, che la riparazione che accettavamo era la restituzione di tutti i danni morali e materiali provocati dallo sgombero.
Abbiamo anche sollecitato che venissero ritirati gli oggetti della cultura mapuche esposti nel Museo Leleque (amministrato dalla Compañía de Tierras). Abbiamo specificato che non avremmo accettato una donazione, bensì una restituzione poiché fino al momento della nostra occupazione il fondo non era stato lavorato da Benetton e la nostra famiglia era stata l’unica a dare una utilità sociale al luogo.

Su richiesta di Pérez Esquivel e di Luciano Benetton, abbiamo viaggiato in Italia assieme al nostro avvocato Gustavo Macayo ed al signor Mauro Millán. L’11 novembre 2004 ci siamo riuniti per quasi 4 ore con Benetton, la moglie e il figlio, Pérez Esquivel, l’ambasciatore argentino in Italia, il signor Gianni Minà, il sindaco di Roma, due avvocati della fondazione Gorbaciov e un membro dell’organizzazione italiana Radici.

Durante l’incontro abbiamo offerto la possibilità che Benetton consegni il fondo Santa Rosa allo Stato argentino, in modo che lo Stato lo restituisca successivamente alla nostra famiglia, considerato che Benetton non desiderava effettuare una restituzione bensì una donazione, proposta che noi avevamo rifiutato ancor prima di partire.

Benetton ha chiesto un tempo di riflessione per rispondere alla nostra proposta, in quanto si doveva consultare con i suoi avvocati di Treviso e della Patagonia. Sono trascorsi quasi due anni da quel momento e fino ad oggi non c’è una risposta. Benetton non ha voluto porre l’esito dell’incontro per iscritto, adducendo che la sua parola non necessitava di essere scritta. Ma, a quanto pare, fino ad oggi noi siamo gli unici a mantenere la parola.

In questo periodo ci troviamo senza lavoro stabile, senza un pezzo di terra da poter lavorare, costretti a chiedere una aiuto al governo per mangiare e con un numeroso nucleo famigliare a carico. Neanche la provincia del Chubut ha risposto alla nostra richiesta di terra da lavorare, lo stesso accade con numerose altre famiglie mapuche, che sono nella nostra condizione.

Vogliamo sottolineare che i danneggiati siamo noi della famiglia CURIÑANCO – RÚA NAHUELQUIR, per evitare che qualcuno possa confondere le cose.

Distintamente
ROSA RÚA NAHUELQUIR & ATILIO CURIÑANCO

Questo è quanto. La prossima volta che avrete l’occasione di entrare in un negozio Benetton, pensate a Rosa e Atilio!

Torniamo a noi.

La giornata di oggi, oltre ad effettuare il trasferimento da El Calafate a El Chaltén, ci servirà per organizzare i trekking e i prossimi spostamenti patagonici. Per questo ci diamo i seguenti obbiettivi da svolgere in giornata:

  • fare gli auguri di buon compleanno ad Anna e Lara

  • decidere quali trekking intraprendere

  • trovare il modo di arrivare a Puerto Natales (Chile)

  • comprare un K-Way per Nic

  • andare al supermercados per comprar i panini di domani

  • bere molta birra artigianale in preparazione ai trekking

  • nutrirci abbondantemente

Usciamo in autobus da El Calafate e veniamo risucchiati dal deserto patagonico. Maciniamo chilometri in mezzo al nulla interrotto solamente da qualche coraggioso Guanaco e dall’azzurro intenso dei laghi Argentino e Viedma; impossibile resistere a scattare qualche foto da dietro il finestrino del pullman.

Il paesaggio, complice la giornata di sole pazzesco è stupendo! Tra una foto e l’altra dormiamo e discutiamo delle nostre vite, di come si sta in Italia e di come si sta in Argentina, del mondo che sta cambiando, delle persone a cui vogliamo bene, finchè all’improvviso la distesa desertica è interrotta da un possente massiccio innevato: è il Fitz Roy.

Siamo quasi arrivati! Prima però una vera chicca per turisti: la sosta da LA LEONA, una locanda dichiarata patrimonio storico e culturale della provincia di Santa Cruz. Qui infatti nel 1935 han trovato rifugio nientepopòdimenochè Butch Cassidy e Sundance Kid, i due mitici fuorilegge in fuga dopo aver ripulito il Banco do Londra e Tarapacà a Rio Gallegos.

Pensiamo bene di celebrare i due banditi con due grossi alfajores, un tipo di dolce composto da due biscotti uniti da un ripieno di pan di spagna e generalmente ricoperti di glassa cioccolatosa. Buonissimi! Alla vostra salute Butch e Sundance!

Ripartiamo. Prima di entrare a El Chaltén, il pullman si ferma presso il quartier generale delle guardie forestali. Ancora una volta ci dividiamo in English e Spanish speaking, e gli addetti ci raccontano come son segnalati i sentieri, che tipi di animali potremmo incontrare (puma compresi!!!) e soprattutto ci fanno mille, giustissime, raccomandazioni necessarie a mantenere il territorio pulito e intatto nella sua bellezza. Non accendere fuochi in nessun caso, portare con se la spazzatura prodotta, ma soprattutto ci confermano quanto di più stupefacente avevamo letto prima di partire: El agua es potable! The Water is drinkable! L’acqua se poe bevare! Tutta l’acqua che troveremo in natura durante i trekking si può bere!

Se provate a pensarci non ci si può credere: bere acqua in natura senza il timore di beccarsi il colera, o perlomeno un po’ di cagotto! Non avere il timore che nei dintorni ci sia Homer Simpson a gestire una centrale nucleare o un termovalorizzatore qualsiasi gestito dalla mafia. Che bello!

Dalla stazione degli autobus raggiungiamo il nostro ostello a piedi. Lo de trivi si chiama. Ovviamente è quello più distante, ma è molto carino e non c’è traccia di vecce assassine… per ora. Ci sistemiamo nella nostra stanza di un metro quadrato occupata per metà dal letto a castello e siam pronti per uscire ad esplorare il villaggio e ad adempiere ai nostri doveri. Ah, i cellulari a El Chaltén non prendono. Possiamo tenerli spenti. Esiste un internet point con connessione medievale dal quale riusciamo a:

  • fare gli auguri ad Anna e Lara via facebook

  • prenotare un ostello a Puerto Natales

  • prenotare l’autobus che ci porterà a Puerto Natales via telefono a gettone (tanta nostalgia di questi anni ’80)

Durante il Pranzo/merenda a base di zuppa e verdura fresca decidiamo che nei prossimi giorni affronteremo due trekking: il primo nei dintorni del Fitz Roy, della durata di 2 giorni partenza da El Chaltén e arrivo alla Laguna de Los Tres, passando per la laguna Capri e il campamento Poincenot dove monteremo la tenda la prima notte. Il secondo trekking, di un giorno, ci porterà invece alla laguna Torre, ai piedi di una delle montagne simbolo per tutti gli appassionati di alpinismo: il mitico cerro Torre.

Così è deciso, l’udienza è tolta!

Invece no. Decidiamo di svelare i nostri piani al proprietario dell’ostello che ci ospita il quale, con tanto di previsioni meteo alla mano, ci sconsiglia di piantare la tenda nei prossimi giorni causa gravi fenomeni meteorologici in arrivo.

Che fare? Vabeh vorrà dire che faremo le inizialmente previste due tappe in una!!! Quasi 30 km in un giorno, con un allenamento da sagra della salsiccia. Sepoffà, tanto qui il sole tramonta verso le 22:30, forse torneremo rotolando, ma con il chiaro.

E a questo punto che fare se non sbronzarci di birra artigianale, il nostro ultimo, ma non meno importante, obbiettivo della giornata?

Ci accomodiamo in un tavolino esterno di un bar qualunque con alle spalle il Fitz Roy sormontato da nuvole pazzesche, sembrano quasi due dischi volanti in equilibrio sulla punta.

Numerose cervezas più tardi decidiamo che è il caso di andare a cena e salta fuori un volantino di un ristorante che avevam trovato in stazione. Si chiama COMO VACA che significa MANGIO VACCA ma anche COME UNA VACCA. E’ decisamente il posto che fa per noi. E mai scelta fu più azzeccata: prendiamo due chorizo beef alte 10 cm cotte alla griglia dal diavolo in persona. Un vero maestro di vacche cucinate. Da bere un disceto malbec.

Le proteine ci schizzano subito nel sangue. Siamo pronti ad affrontare il trekking di domani!

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