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LA VECCIA Y EL CORTéL

Dia 4 – lunedì 13 febbraio 2012

El Calafate – ore 6:30

Sembra proprio che in queste vacanze non potremmo evitare di alzarci prematuramente, peggio ancora di quando andiamo a lavorare!

Ci vestiamo scambiando parole confuse, in un dialetto primitivo, e una volta vestiti scendiamo le scale, pronti a divorare ogni cosa si incontri sul nostro cammino.

Ci sediamo al tavolo famelici ed ecco che appare tra la nebbia fitta dell’ostello la nostra cara veccia. Ci saluta e, con nostro rammarico, ci mette sul tavolo quattro poveri dischi di pane e una misera ciotolina di marmellata e burro. La giornata inizia bene! Dovremmo fermarci a cacciare della selvaggina prima di arrivare al Perito Moreno.

Iniziamo a consumare il rancio assieme a una simpatica signora Argentina che ci racconta dei suoi viaggi, tutti e tre mangiamo lo stesso pane e marmellata… ignari di ciò che ci aspetta.

Di colpo arriva la veccia, guarda costernata la signora al nostro fianco e le dice lanciando lampi d’odio nei suoi confronti: “No! La sua razione è questa!” e con gesto nervoso le strappa violentemente il coltello di mano, sbattendole il suo cibo sul tavolo. Con la veccia non si scherza. Mai. Spaventati decidiamo di tagliare la corda. Per fortuna arriva subito il nostro autobus e quindi filiamo fuori al gelo e saltiamo su.

L’autobus attraversa El Calafate tra le luci dell’alba. I primi viaggiatori sotto gli zaini pesanti cercano un alloggio mentre noi sfrecciamo in direzione del Perito Moreno, emozionati per il vicinissimo incontro con questo spettacolare colosso di ghiaccio.

Passiamo su un’altra corriera colma di gente e ci sistemiamo in fondo… come sulle care vecchie FTV.

Un arcobaleno è il segnale che ormai ci siamo lasciati la veccia alle spalle. La giornata può iniziare!

Siamo assieme a persone di tutti i luoghi del mondo, dall’Asia all’Europa, dal medio Oriente all’America. Per circa un’ora viaggiamo tra lande sconfinate e brulle, una specie di steppa sudamericana e la guida ci da le prime istruzioni e informazioni sul ghiacciaio. La vegetazione inizia a cambiare poco a poco finchè la steppa lascia spazio a verdi boschi e cascate. Il panorama, nonostante la pioggia che cade lieve, è affascinante. Arriviamo all’entrata del Parque Nacional los Glaciares, paghiamo i nostri 100 pesos tariffa europei e ci facciamo timbrare il passaporto con il timbro del parco. Vogliamo che questo passaggio rimanga indelebile! Adesso siamo pronti per te, Perito Moreno.

L’autobus prosegue per altri dieci minuti circa tra la nebbiolina del mattino e di colpo, girando una curva secca, lo vediamo per la prima volta, in lontanzanza, offuscato dalla nebbia ma ugualmente imponente. Un vero e proprio muro di ghiaccio schiacciato tra i versanti di due montagne!

L’emozione cresce e le esclamazioni di stupore (spesso colorite in stile veneto) si sprecano.

Dopo pochi minuti ancora, scendiamo dall’autobus e ci dirigiamo cavalcanti verso le passerelle che costeggiano il ghiacciaio. Adesso ce l’abbiamo davanti e non possiamo credere ai nostri occhi.

Ciò che abbiamo visto è molto difficile poterlo descrivere… Nemmeno le foto riescono a rendere la straordinaria potenza di questo ghiacciaio.

Come diceva il nostro grande Meneghello: “Non si può più rifare con le parole”. Bisogna andarci e questo è quello che vi invitiamo a fare prima o poi nella vita.

Il muro di ghiaccio sembra un’impressionate scultura barocca, con picchi, salti, rientranze e cadute che, assieme al cielo grigio che ci sovrasta, gli conferiscono un aspetto quasi inquietante. In alcuni tratti è alto settanta metri e sotto il livello dell’acqua ve ne sono altri centocinquanta invisibili.

L’imponenza di questo spettacolo naturale bianco, blu, celeste e azzurro quasi fluorescente è in grado di toglierti la parola per diversi minuti, di lasciarti ammutolito con la bocca aperta e zitta. Quasi nessuno parla. Si ha la sensazione di essere di fronte e qualcosa di incontrollabile, una forza che va oltre ogni possibile immaginazione.

Il fiume di ghiaccio scende dalla montagna per diversi chilometri e quello che noi vediamo è solamente la “microscopica” parte finale. C’è un mondo di ghiaccio che sale su per la montagna che non possiamo nemmeno provare a concepire. Ghiaccio denso, compresso, una riserva di acqua potabile impressionante.

Camminiamo in silenzio, parlando solamente di quando in quando mentre la pioggerellina ghiacciata ci schiaffeggia il viso. Tutto quello che diciamo è riferito all’immensità che abbiamo davanti e scattiamo povere foto, cercando di farle uscire bene, ma sempre con la malinconia di chi sa che non potranno mai farci rivivere veremente la profondità di questo momento unico. Ciò che si vive qui si può vivere solo qui. Rimaniamo a contemplare a lungo prima di ritornare all’autobus, camminiamo a destra e a sinistra silenziosi. E’ meraviglioso.

Ora ci aspetta la parte più bella. La navigazione e il trekking sul ghiacciaio.

Dopo pochi minuti di autobus raggiungiamo uno dei rami del lago Argentino, salutiamo Renzo e Lucia, e saliamo su una barca che ci trasporterà dall’altra parte, dove inizieremo il trekking.

La barca costeggia il ghiacciaio che ora ci sembra ancora più alto. Siamo praticamente sotto la parete e sentiamo scricchiolare le lastre di ghiaccio che si staccano e crollano fragorosamente nel lago, ma non riusciamo a vederle.

Il rumore è fortissimo, come il risultato di migliaia e migliaia di fogli di carta che si accartocciano contemporaneamente. La traversata è emozionate.

Arriviamo sull’altra sponda e raggiungiamo dei rifugi in legno nei quali, dopo aver ricevuto istruzioni dalle guide, mangiamo e riposiamo. Dopo un pò siamo pronti per partire.

Andiamo a calpestare questo immenso cumulo di ghiaccio cazzo! Partiamo divisi in due gruppi, uno che parla inglese e uno che parla spagnolo e dopo pochi minuti e una lezione di “ghiacciologia” arriviamo ai piedi del mostro bianco, pronti ad affrontarlo.

Ci infiliamo i ramponi (FATTA ANCA QUESTA!!!) sotto gli scarponi, necessari per camminare sul ghiaccio e partiamo, ognuno col suo gruppo costeggiando il crinale ovest. Faremo un giro di un’ora e mezza.

Nicola: Mi sento un pò goffo camminando con questi aggeggi ai piedi, sembra di essere un robot. Il mio gruppo è piuttosto vario, ci sono giovani, bimbi e anziani. Si cammina lentamente e la nostra guida, davvero un grande, ci spiega come il ghiaccio si muova e si rinnovi con grande velocità. Il perito Moreno è uno dei pochi ghiacciai della zona ad essere “vivo”, in movimento rapido e continuo. Scopro così che non è “preistorico come pensavo” ma che la sua formazione risale al massimo a 700 anni fa. Il ghiaccio che calpestiamo sudando verso l’alto, ha all’incirca tra 350 e 600 anni. E’ proprio come essere su una normale montagna, ma completamente azzurra e bianca. Il sole a tratti compare tra le nuvole e il suo riflesso brucia gli occhi. I segni del movimento si vedeno nitidamente. Vi sono ruscelli e crateri dai colori sgargianti che costellano tutto il terreno ghiacciato. La bellezza delle colline, dei picchi e delle cadute è soprendente. Passiamo a fianco di un piccolo ruscello recentemente formatosi e non resisto alla tentazione di provare l’acqua cristallina. Mi inginocchio tra le schegge gelate e infilo bocca e naso nell’acqua che scende libera dal costone. La sensazione è indescrivibile, una purezza liberatoria dopo i mesi passati in città, il sapore giusto per accompagnare questo silenzio. La freschezza di questo nettare che scende dalla montagna è davvero speciale. Vi immergo le mani e godo del brivido che mi attraversa la schiena. Mi sento davvero in pace. Mi alzo e osservo la salita di ghiaccio che si perde verso le nuvole, faccio un giro su me stesso osservando la verginità del paesaggio intorno, dei boschi e delle rocce che non si muovono da migliaia di anni. Proseguiamo tra canali e colline gelate per diversi minuti ancora e poi, poco a poco ritorniamo piedi del ghiacciaio.

Jacopo: non posso che sottoscrivere quanto già detto dal collega… quest’esperienza sui ramponi è stata davvero emozionante e divertente. Camminare sulla schiena del mostro di ghiaccio che cresce di oltre 2 metri al giorno. Pazzesco! Chi se lo sarebbe mai immaginato. Quello che posso dire in più è che nel mio gruppo di “English speaking” c’eran moltre più belle ragazze (ehmm si vabeh, nel blog non posso essere più volgare) rispetto al suo che era farcito di anziani. Soprattutto 4 israeliane (riconoscibili dai paraorecchi rosa) un po’ caciarone ma valide e due francesi velenosissime (riconoscibili dai pantaloni amarilli). Me nono me dixeva sempre: “Jacopo studia l’inglese!!!!” quanta raxòn che gaveva!!! Dal Tardini mi sembra di aver detto tutto, lineaaaaRRoma.

Ed ecco il finale tipicamente turistico della giornata: la bevuta di un buon wisky rifrescato dalle scaglie di questo paradisiaco Perito Moreno. Ci ritroviamo, ci scambiamo un abbraccio e via con i meritati brindisi sui ramponi!!! Ci raccontiamo della nostra avventura separata. Felici, con la gioia e lo stupore di aver compiuto questa esperienza, siamo pronti a ritornare al campo base.

Risaltiamo sulla barca contenti e con un pizzico di malinconia, ancora qualche minuto di navigazione e il Perito Moreno uscirà nuovamente dalla nostra vita, scomparendo dietro al crinale del monte. Ce lo siamo goduti. Mentre stiamo girando l’angolo però, inaspettatamente, ci saluta con l’ultimo numero spettacolare. Un’enorme lastra di ghiaccio si stacca all’improvviso dal muro e cade frantumandosi a contatto con l’acqua. Stupendo, quanto l’abbiamo aspettato.

Grazie Perito Moreno, ci hai regalato un giorno indimenticabile e a te dedichiamo questa canzone dai toni maestosi (qualcosa tipo POPOM-POPOM)

Rientriamo a El Calafate stanchi e viola in faccia (we are violet), ma completamente estasiati. Il petto è gonfio di soddisfazione. Una buona cena con birre artigianali, una passeggiata per El Calafate e a dormire come orsi. Domani si parte per El Chaltén…

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ES PREVISTO COMER AQUì?

Dia 3 – domenica 12 febbraio 2012

Buenos Aires – ore 3:00

Drammatica sveglia! OOOH che riposati! Gli uccellini del Mulino Bianco sono ancora in letargo a quest’ora e in bocca c’è ancora il sapore del gran Vacio che abbiam consumato poche ore fa. Recitiamo le orazioni, raccogliamo le nostre cose e con aliti agghiacciati usciamo di casa.

Stiamo per abbandonare la megalopoli per raggiungere il villaggio di El Calafate, regione di Santa Cruz, in piena Patagonia Argentina. La sensazione è quella di passare dall’“intro” alla prima strofa del viaggio.

Raggiungiamo in taxi l’Aeroparque, il secondo aeroporto della città utilizzato per i voli nazionali. Pur essendo molto presto l’aeroporto è affollato, tanto che tra le serpentine del check-in LAN, la compagnia di bandiera cilena con la quale voleremo, ci son dei personaggi che ad alta voce chiamano per le varie destinazioni. Scopriamo che uno di questi signori si chiama Bellin di cognome, Adrian Bellin… proprio come Nicola!!! Che cosa incredibile, l’ennesima conferma di un popolo figlio di una massiccia immigrazione europea e italiana in modo particolare.

Il volo dura circa 3 ore e mezza e fila via liscio tra un sonnellino e l’altro. Verso le 10 arriviamo all’aeroporto di El Calafate… praticamente una baracca in mezzo al deserto spazzata dal famoso vento patagonico di cui tanto abbiamo sentito parlare prima della nostra partenza.

Piero Angela: “La barriera opposta dalle Ande, che si trova ad ovest del deserto, è la ragione primaria della condizione desertica della Patagonia, dal momento che gli alti crinali (superiori ai 4.000 metri) fermano il flusso di umidità dal sud dell’oceano Pacifico…” SPLACH! Ah scusa Piero, non ti avevo visto.

La Patagonia ci da il suo – non in senso letterale – caloroso benvenuto.

Venendo qui da Buenos Aires è un pò come uscire da un concerto dopo esser stati per due ore a fianco degli amplificatori. Il silenzio domina. Un breve tragitto in autobus ci porta fino al centro di El Calafate, una cittadina nata grazie alla vicinanza con il Parque Nacional de los Glaciares, una delle mete obbligatorie quando si visita la Patagonia. Sembra di essere nella “tranquilla” località montana di Twin Peaks, solamente con un pò più di colore, grazie alla presenza di numerosi negozi dedicati al trekking, ristoranti e agenzie turistiche che organizzano escursioni sul Perito Moreno.

Raggiungiamo a piedi l’ostello che ci ospiterà per le prossime due notti. Con l’autobus facciamo un giro assurdo e perdiamo l’orientamento. Così quando arriviamo all’ostello ci sembra di essere ad ore di distanza dal centro e ci guardiamo preoccupati, ma quando dovremmo camminare? In realtà siamo a circa un chilometro.

Non facciamo nemmeno in tempo ad entrare che siamo investiti da un fiume di parole (rios de palabras, come i Jalisse) da parte della “veccia de El Calafate”, la veccia che ormai caratterizza tutti i nostri viaggi in giro per il mondo (come dimenticare la vecia di Kinsale in Irlanda???), anche qui l’abbiamo trovata. Ci vorrebbe costringere a prenotare l’escursione al Perito Moreno tramite loro, onde evitare, dice, di non trovare posto; noi un pò perchè non ci siamo ancora tolti di dosso gli zaini e un pò perchè sentiamo puzza di cadavere provenire da sotto il bancone della reception decidiamo, adducendo scuse improbabili, di declinare gentilmente l’invito della veccia loca. Attraversato il ponte levatoio raggiungiamo finalmente la nostra stanza, stile cella di padre Pio ma con finestra (per fortuna, altrimenti saremmo morti asfissiati). Dopo aver constatato la presenza di un solo wc per tutti gli ospiti dell’ostello, ci infiliamo el capel e ritorniamo in centro per esplorare il territorio, mangiare un boccone e informarci sulle escursioni al mitico glaciar.

Prenotiamo l’escursione minitrekking (visita al ghiacciaio dalle passerelle + barca + minitrekking) presso un’agenzia in cui lavora una gentile signora argentina che vive a Perugia durante i mesi invernali e a El Calafate durante quelli estivi. Tutte le agenzie che abbiamo visitato applicano gli stessi prezzi quindi tutto sommato la vecchia non ci voleva fottere… Peggio! ci voleva uccidere… si sentiva il battito del suo cuore… e anche dei passi!

La veccia però ci aveva dato anche una dritta positiva. A pochi metri dall’ostello c’è una laguna spettacolare che ci invita a visitare. Dopo un pasto fugace ci dirigiamo quindi alla Laguna Nimez, una splendida oasi protetta sulla riva del lago Argentino. Si cammina tra gli splendidi colori stile autunnale, mentre il vento increspa le acque della laguna e ci fa lacrimare. La zona è popolata da un’enorme quantità di uccelli che svolazzano intorno, alcuni molto grandi e pittoreschi, come i fenicotteri. E’ incredibile come ogni specie occupi una zona della laguna senza andare ad invadere quella di un altro gruppo.

Il paesaggio è spettacolare. Sopra di noi, le nuvole assumono forme che non abbiamo mai visto, come pennellate bianche di un pittore impressionista su di una tela celeste e limpida. Sono la cosa più speciale di questo luogo, è impossibile non fermarsi a contemplarle. Continuiamo la passeggiata e finalmente arriviamo al punto panoramico. Una piccola collina che domina il maestoso Lago Argentino, un immenso bacino formatosi dallo scioglimento dei ghiacciai circostanti, di un colore azzurro intenso.

La spiaggia, complice la giornata di sole pazzesco, è davvero magnifica. Impossibile resistere alla tentazione di immergere almeno i piedi nel lago. La temperatura dell’acqua è glaciale e il vento fa il resto. Ci separiamo quasi senza accorgercene ed ognuno di noi si prende un momento, per assaporare solo questo silenzio fatato, rotto solo dal rumore del vento, in mezzo a questo paradiso di colori. Non ce l’aspettavamo questo tour. Come tutte le cose belle e non programmate ci ha colto di sorpresa e… ci sentiamo infinitamente bene. Eccoci qui Patagonia.

Al termine del tour siamo costretti (grandi sacrifici!!!) a rifugiarci in un bar per bere qualcosa di caldo e riposarci. Di ritorno in ostello riusciamo ad evitare la veccia, fiuuuuu, temevamo di doverle dare la notizia di aver prenotato l’escursione al Perito Moreno tramite un’altra agenzia e di doverne pagare le terribili conseguenze. Breve poja e si torna in centro a far la spesa per il pranzo al sacco di domani: pane, affettati e formaggio, ma son finite le salviette di carta! Ci tocca avvolgere i panini nella carta igienica… quando si dice un pranzo di merda…

Ci aperitivizziamo con un paio di birrette (Le birre artigianali roja e negra sono veramente spettacolari in queste zone; nelle loro diverse forme e marche, ci accompagneranno per tutto il viaggio. Una vera tradizione. Che cultura, che civiltà!) e poi ci infiliamo in una tavola calda segnalata anche dalla guida. Troviamo un tavolino ma il ristorante è strapieno! Ordiniamo un’ottima hamburguesa con insalatina fresca ma, un’ora e otto cestini di pane dopo, siamo ancora in attesa dei nostri piatti! Al limite dell’esasperazione, ormai con la schiuma alla bocca chiediamo alla cameriera: “Es previsto comer aquì?”

Si faranno perdonare facendoci un pò di conto sulla cuenta.

Iniziamo ad accusare la sveglia prematura del mattino, proviamo quindi a tornare in ostello e ci riusciamo anche, ma solo dopo esserci persi un paio di volte nel cuore della notte. Nemmeno i cani randagi, di cui El Calafate è piena, si fidano delle nostre traiettorie e poco a poco ci abbandonano al nostro vagare a vuoto. Al nostro ingresso all’ostello, veniamo accolti da uno stormo di teenagers cinesi che militarizzano la sala comune. Non ci resta altro che arrenderci e di ritirarci nel nostro alloggio. Domani il Perito Moreno ci avrà.

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