Archivio mensile:aprile 2012

LOS LOCOS DE LA TARJETA

Dia 8 – venerdì 17 febbraio 2012

El Chaltén – ore 8:15

Stiamo migliorando!!! Ultimo risveglio nel villaggio incantato di El Chaltén. Il container che ci ha contenuti per la notte emana un odore pestilenziale. E´ il segnale che ci invita a partire. Usciamo nello splendere del sole giá alto (proprio un periodo di piogge eh??? caro proprietario dell’ostello…).

Dopo la consuenta buona colazione rifacciamo i nostri zaini che ormai assumono sempre piú la forma di sacchi gonfi di esplosivo piú che di biancheria. Oggi sará un giorno di viaggio. Da El Chaltén torneremo a El Calafate per poi ripartire quasi immediatamente per Puerto Natales, cittá patagonica del Cile. Salutiamo l’ostello Lo de Trivi, che ci ha trattato bene a parte le false previsioni climatiche, e ci avviamo verso il supermercato, avvolti nel vento costante che batte il paese, e schiacciati sotto il peso dello zaino.

Dopo una buona e classica spesa di pane e affettati, accompagnati dai mitici dolcetti al dulce del leche, siamo pronti a partire.

Alle 11 abbiamo l’autobus per El Calafate. Ma prima di partire abbiamo un ultimo saluto da fare. Ci avviciniamo alla biglietteria e il nostro caro amico, che appare ancora sconvolto dalla serata precedente, ci riconosce e sorridendo lancia qualche frase incomprensibile con la bocca ancora impastata e la lingua felpata. Ciao mitico, ti lasciamo il paese in custodia! Salutiamo El Chaltén, che ci ha regalato emozioni indescrivibili, con i suoi monti liberi ed eterni. Sará difficile dimenticare loro e la pace che abbiamo assaporato in questi due giorni.

Dopo un breve viaggio di ritorno e una nuova scorpacciata di pizza ed empanadas da La Leona di cui vi abbiamo già parlato qualche giorno fa, arriviamo a El Calafate dove prendiamo i biglietti per il Cile. Adesso abbiamo tempo di riposare un pó aspettando l’autobus. Leggiamo e scriviamo il nostro diario. Circa un’ora dopo, si parte. Il viaggio ci porterá a Puerto Natales in sei ore di strada sterrata e paesaggi sconfinati.

Mentre osserviamo le montagne allontanarsi dietro di noi ci inoltriamo sempre di piú nella pianura secca e arida. E’ incredibile come a pochi km da una terra così rigogliosa e verde, possa essercene un’altra così brulla e infinita.

Dopo diverse ore di strada sterrata in cui rischiamo un distaccamento delle retine, arriviamo alla frontiera di uscita Argentina nel bel mezzo del nulla.

La polizia ci timbra i passaporti mentre osserviamo allibiti il tavolo da ping pong con cui gli sbirri si divertono a passare le giornate nei loro periodi di isolamento e, in perfetto stile far west, una serie di fotografie di persone ricercate, con la loro bella faccia di fronte e di profilo e sotto la parola BUSCADO assieme alla cifra della taglia. Incredibile. Ma dove semo finii?!?

Risaliamo sull’autobus dal quale scendiamo nuovamente dopo pochi minuti, per il controllo alla frontiera di entrata, quella cilena.

I cileni sono molto prudenti con gli stranieri; ogni zaino viene fatto passare ai raggi X. Riempiamo il modulo di immigrazione e ci guadagnamo il nostro timbro di entrata. Ripartiamo dopo circa un’ora mentre il sole sta scendendo poco a poco, creando colori arancio-rosso e giallo scuro sul manto della steppa incontaminata che sembra nascere dal cielo a tratti nuvoloso.

Manca poco per arrivare e ricominciamo a scorgere le montagne, che dominano prati sempre piú verdi con mandrie di mucche e cavalli che si muovono libere nell’aria dell’imbrunire. Poco a poco, mentre la luce svanisce, avvistiamo il mare in lontananza assieme alle luci della cittá che ci sta per accogliere.

Puerto Natales ci stupisce subito. Non si tratta di un luogo scuro e abbandonato della fine del mondo, ma di un bel villaggio curato e pieno di movimento. Scendiamo alla stazione di fianco alla chiesa. Sono le 21 e fa un freddo cane. Raccogliamo gli zaini e iniziamo a camminare frettolosi verso l’ostello. Dopo circa mezzo chilometro vediamo l’insegna: EL PATAGONICO. Siamo arrivati.

L’ambiente è molto carino e colorato e Monica, la proprietaria, è molto gentile e disponibile. Ci mostra subito la nostra stanza… letto matrimoniale… (apppòsto!) e con una mappa della città ci indica i luoghi strategici tipo un bancomat, visto che qui si paga in Pesos Chilenos e un paio di ristoranti dove potremo sfogare la nostra fame da lupi.

Una volta sistemati usciamo quindi a procacciare del cibo finendo in un ristorante che si chiama La Picada de Carlitos. Divoriamo zuppe e pesci con grande soddisfazione
pianificando le avventure del giorno seguente. Ci alziamo contenti, pronti per andare a dormire, é stata una lunga giornata, serena e senza troppi intoppi… anzi no. Mai parlare troppo presto…Prima di uscire dal ristorante dobbiamo pagare. Ed ecco quindi che ci troviamo davanti loro due, quelli che Fantozzi con la sua tragica voce avrebbe così descritto: “ERANO I PEGGIORI COMMESSI DEL MONDO, RESIDUATI DI SUPERMERCATI FALLITI A CAUSA DELLA LORO INCOMPETENZA!”.

Non abbiamo ancora prelevato, porgiamo quindi la carta di credito che strisciano in un apparato stile anni ’80, vecchio come il paese. Niente. Riprovano, niente. Provano ancora, niente. Scoppia il panico.

Uno dei due scansa l’altro come a dire “fasso mi”. E qui esce il genio. Prende la carta di credito e la sfrega con forza contro i suoi pantaloni sudici. Poi la passa di nuovo nell’apparato antiquato. Niente! Altra sfregata, striscio, niente. Maneggia la carta di credito come se fosse un pezzo di carta qualsiasi e il sangue ci bolle nelle vene. Decidiamo allora di provare con un’altra carta. Gliela porgiamo e il teatro e le violenze contro di essa si moltiplicano.

I tipi impazziscono e sbattono ripetutamente la carta sul bancone, per smuovere qualche ingranaggio eventualmente intoppato. La pressione minima è a 200. E’ l’apice del ridicolo.

La strisciano di nuovo e a questo punto Jacopo esplode con uno spagnolo improvvisato ma perfettamente comprensibile: “ESTA ES LA ULTIMA VOLTA!” Dice guardando l’incapace con gli occhi del diavolo.

Riprovano, Ma la carta non va. “Ce toccará lavare i piatti” pensiamo. Alla fine ci mettiamo d’accordo e paghiamo in Pesos Argentini. Salutiamo sdegnati los Locos e ce ne andiamo a dormire, insultandoli ad alta voce nel nostro bel dialetto veneto (Germano Mosconi ora pro nobis) che riempie le strade di Puerto Natales che domani ci avrà!

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EL ESODO

Dia 7 – giovedì 16 febbraio 2012

El Chaltén – ore 8:00

Sveglia. Acido lattico domina. Estreme difficoltà motorie.

Oggi dobbiamo innanzitutto fare cambio di stanza, o meglio di edificio, o meglio ancora da un edificio in legno e mattoni ci spostiamo in un container anni ’80 stile terremoto in Irpinia. Una stufa a gas interna riscalda l’ambiente ad una temperatura di 3000 gradi Fahrenheit tipo viaggio al centro della Terra. Raccogliamo le nostre cose e a fatica trasferiamo tutto nel nostro nuovo meraviglioso alloggio. Come ieri ci colazioniamo abbondantemente guardando in TV la differita di Milan – Arsenal. Oggi affronteremo il trekking che ci porterà alla laguna Torre. Passiamo al supermercado a prendere pane e affettati e siamo pronti: VIA!

La giornata è splendida, il cielo è terso. Le cime di oggi non potranno nascondersi ai nostri occhi. Man mano che affrontiamo la salita iniziale i nostri muscoli si sciolgono e il dolore causato dall’acido lattico scompare. Ad un tratto una lepre grande quanto un cerbiatto ci taglia letteralmente la strada a grandi balzi. Starà scappando da un predatore?!? Speriamo non sia un puma o peggio ancora un velociraptor, esemplare tipico della zona del Bar Astra a Vicenza. O forse I predatori siamo noi visto che la nostra fame non accenna a diminuire… sarà l’aria australe che fa questo effetto… perchè nell’emisfero boreale non abbiamo mai fame. No no.

Arrivati al monumento al viandante distratto, creato con un solo mozzicone di sigaretta, il sentiero si attesta in piano e molto più avanti iniziamo a scorgere il mitico cerro Torre, una delle più spettacolari cime del Campo de Hielo Sur, situato a ovest del Fitz Roy. La vetta del cerro Torre è considerata fra le più inaccessibili del mondo perché, qualunque via si scelga, bisogna affrontare almeno 900 metri di parete granitica, per arrivare ad una cima perennemente ricoperta da un “fungo” di ghiaccio. La prima ascensione indiscussa del cerro Torre è quella compiuta il 13 gennaio 1974 da una spedizione del gruppo dei Ragni di Lecco; Italians do it better! (cit. Wikipedia).

Dal mirador il sentiero prosegue attraverso colori e paesaggi incredibili, un lungo falsopiano. Siamo circondati inizialmente da una vegetazione bassa, tipo mughetti, poi proseguiamo sotto un fitto bosco costeggiando l’impetuoso rio Fitz Roy. Il cerro Torre adesso è vicino.

Dopo 11 km raggiungiamo il campamento De Agostini e infine la laguna Torre. Adesso lo possiamo quasi toccare. Il paradiso dell’arrampicata. Il cerro Torre e i suoi fratelli brillano nel cielo celeste. Sotto di loro il ghiacciaio e la laguna completano il quadro.

Siamo completamente esposti ad un vento fortissimo e glaciale. Fa un freddo cane anche se indossiamo guanti e calzamaglia! Questa è l’estate patagonica!

Siamo storditi dalla bellezza del luogo, ma poco dopo è la nostra ormai inarrestabile fame a farci ritornare alla realtà. E’ tempo di pranzo! Dopo le foto di rito proviamo a sbafarci il meritato panino al riparo di un grosso masso, ma a breve siamo costretti a battere in ritirata verso luoghi meno battuti dal vento gelido. Ritorniamo sui nostri passi e ben presto scoviamo una spiaggetta naturale in riva ad un ruscelletto. Spettacolo! Ci togliamo le scarpe e riempiamo le borracce. Il tempo di distenderci e sprofondiamo in un sonnellino clamoroso! Al nostro risveglio scopriamo che altre persone ci hanno imitato, tra cui una giovane madre che ha pensato bene di mettersi in bikini a prendere il sole mentre il figlio giocava sulla riva. E’ un bel risveglio non c’è che dire. La bellezza della natura…..

Ma la strada è ancora lunga, ci rimettiamo in marcia e scegliamo una strada diversa da quella dell’andata. Ovviamente si rivelerà più lunga, ma davvero bella soprattutto nell’ultimo tratto in cui il sentiero è a picco sulla gola formata dal rio Fitz Roy. Alla fine sbuchiamo sulla sommità di una collina che domina El Chaltén. Una vera figata. Scendiamo giù in strada in mezzo a soliti pacifici cani randagi e torniamo in ostello (ah è vero siamo nel container stanotte… quasi lo dimenticavamo!). Altri 23 km percorsi. Non male.

Dopo la doccia e un pò di meritato relax decidiamo che per l’ultima sera a El Chaltén ci vuole una cena come si deve. Andiamo sul sicuro: torniamo al COMO VACA. Entriamo nel nostro locale preferito. La cameriera con un sorriso beffardo sembra volerci chiedere: “non vi è bastata quella dell’altra sera?”. La risposta, sottintesa, è ovviamente: “Braci alla massima potenza!!!”.

Questa sera il MANGIO VACCA è stracolmo, così chiediamo a due tipe se possiam dividere il tavolo con loro. Accettano di buon grado (è ovvio! Non ci conoscono…). Sono israeliane. Ci raccontano del loro viaggio che è esattamente lo stesso nostro, solamente fatto al contrario, da Ushuaia a Buenos Aires. Ci siamo incrociati esattamente a metà delle nostre strade. Parliamo di questi posti incredibili, dei posti belli in Italia e in Israele. Quasi contemporaneamente arrivano le nostre sberle di carne e i loro spettacolari browni con gelato (eh si loro erano già al dolce), che ovviamente ci ripromettiamo di prendere a fine cena. Le amiche israeliane si congedano e noi finiamo di sbranare le nostre mucche. Ma stasera siamo carichi e non abbiamo voglia di tornare nel container a dormire. Ci infiliamo in un bar a caso, un pub in stile londinese con un sacco di birre e vini da ognidove. Ne assaggiamo parecchie. Il bar è pieno di gente scoppiata. La musica è tripudio anni 90, pearl jam, soundgarden, nirvana mescolati a qualche gruppo argentino. Bella atmosfera. Entrano anche altri ragazzi e ragazze che avevam trovato alla laguna Torre. Ci sentiamo parte di una grande famiglia di esploratori patagonici. Stamane abbiamo condiviso la stessa fatica. Adesso condividiamo la stessa festa! Ma alla fine arriva lui: uno dei pochi argentini che vivono qui tutto l’anno, anche in inverno in cui qui non rimane più nessuno. E’ il tizio che lavora alla biglietteria della stazione degli autobus. Ci vede, ci saluta, brindiamo alla nostra salute! Lui diretto al bancone, ordina una bottiglia di vino con un bicchiere. E’ il suo personal per la serata. Probabilmente di tutte le sue serate. Lui e la sua bottiglia di vino preferita.

Nicola: Ad un certo punto mi alzo e vado in bagno. Mentre mi svuoto sento un grido mescolato alla musica: “VAMOS TANOOOOSSSS!”. Scoppio a ridere. Quello che grida è il nostro buon bigliettaio che in preda ai fumi dell’alcol si è girato verso Ciube urlandogli per incitarlo a ballare. TANO vuol dire italiano in Argentina. Gli italiani sono LOS TANOS. Perché? La leggenda vuole che arriva dalla parola NapoleTANO. Fra i primi immigrati italiani in Argentina vi erano moltissimi napoletani e si racconta che l’espressione, usatissima nel paese, (tutti mi chiamano Tano Nicola) sia nata da li.

Jacopo: Vedo sto sciopà che urla “VAMOS TANOOOOSSSS!” e mi chiedo: chi casso xeo sto tanos? ma onde evitare di far figure di merda faccio un cenno di intesa con il pollice alto e ordino altre 2 cervezas, tanto per non sbagliare!!! Al ritorno di Nicola dall’ufficio acque, l’amico bigliettaio si ripete e di nuovo grida battendo le mani in piena musica salsa e merengue: “VAMOS TANOOOSSSS!” e stavolta rispondiamo “VAMOS VIEJOOOO!” e battiamo le mani.

E infine, dopo numerosi “ultimi” (perchè l’ultimo xe sempre sta fatto…) uscimmo a rimirar le stelle, e di stelle ce ne sono davvero tantissime nel buio pesto del villaggio. Uno spettacolo incredibile. Ultima notte per noi a El Chaltén, domani si parte per il Cile.

“…february stars
floating in the dark
temporary scars
february stars…”

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