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Ma quando arrivano le tartarughe?

Dia 6 – domenica 9 agosto 2015

Al nostro risveglio ci accorgiamo ben presto che la serata passata a giocare a quello che sembrava “uno de quei quiz presentà da Enrico Papi” (Nic dixit),
aveva lasciato degli evidenti segni sui nostri volti, ma sopratutto sui nostri aliti mattutini.
Tuttavia a sconvolgerci non sono le poche ore di sonno o le diverse tazze di Flor de Caña della sera prima, bensì il lago di sudore nel quale tutti ci siamo risvegliati (ad eccezione di Lara naturalmente, che non è fisicamente capace di sudare).
Ben presto raggiungiamo la consapevolezza unanime che la responsabilità di questa calura notturna è di Nic, che nel sonno ha deliberatamente deciso di spegnere il ventilatore che dava ossigeno alla nostra camera.
Una camera, cinque persone, clima tropicale e un ventilatore spento.
Subito accusato e coperto di giudizi (come peraltro spesso gli capita), il sonnambulo dispettoso prova fin da subito a negare il proprio coinvolgimento fino a quando, messo alle strette, non decide di abbandonare le deboli difese e di confessare le proprie colpe.
Le ragioni del folle gesto non ci verranno mai fornite.

La breve inquisizione ci ha messo appetito, e decidiamo di sperimentare un desayuno alternativo: questa mattina dolce.
Ordiniamo, e a ciascuno viene servito un pancake alto due dita e grande come una pizza, guarnito con del leggerissimo burro immerso in quello che ha tutta l’aria di essere succo d’acero.
La prima metà va giù che è una meraviglia, l’altra mezza pizza rende necessario accompagnare ogni boccone ad abbondanti sorsi di jugo de naranja.Terminiamo la colazione, raccogliamo la nostra attrezzatura da spiaggia (v. la descrizione di Lara al Dia 5) e in preda all’acetone ci dirigiamo alla Playa El Coco.

Come ormai da tradizione facciamo una breve sosta a salutare Anita, recuperiamo i suoi ospiti Francesca e Nick, e saliamo tutti e sette a bordo del nuovo bolide di Fra.
A differenza di ieri, il buon Veneto oggi non ci farà compagnia.
Prima di giungere a destinazione, facciamo una breve sosta a La Flor, la spiaggia dove – se saremo fortunati – potremo assistere al ritorno di migliaia di tartarughe per la deposizione delle uova.
Cerchiamo di capire dai responsabili del posto se qualche tartaruga sia stata avvistata al largo, ma le risposte che ci vengono fornite sono piuttosto evasive.
Per questa ragione nel corso della giornata solleciteremo più volte Fra a chiamare la riserva naturale di La Flor per tenerci costantemente aggiornati sull’arrivo dei tanto attesi animali.
Chiaramente questa cosa non ha assolutamente infastidito la nostra guida.

Dopo la breve tappa, raggiungiamo Playa El Coco.
La spiaggia è magnifica, una distesa di sabbia finissima raccolta tra due lunghe braccia verdi che si immergono nell’oceano; alle nostre spalle solamente alberi.

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Il sole da queste parti si fa sentire in tutta la sua intensità. Forse sarà anche perché, tra una colazione e una sosta, arriviamo in spiaggia per l’ora di pranzo, l’orario più indicato dai dermatologi di tutto il mondo.
Per questo motivo cerchiamo riparo all’ombra di alcuni alberi. In verità, più che sotto agli alberi, l’unica ombra che siamo riusciti a trovare era sotto alle amache che vi erano appese. Ma non è il momento di essere schizzinosi.
Il tempo di posare gli asciugamani e Nic è già addormentato, mentre noi interrompiamo le lunghissime sessioni di ozio con alcuni bagni in mare e con chiacchiere a voce altissima per sovrastare il russare di Nic.
Ad un certo punto Jacopo reclama la nostra attenzione per condividere alcuni avvistamenti all’orizzonte: delle grosse macchie nere sembrano rapidamente emergere e immergersi nuovamente in acqua…o perlomeno questo è ciò che sostiene di aver visto.
Forse delle balene, o forse la conferma che il sole da queste parti picchia molto forte in testa.
Resta il fatto che decideremo in seguito di non ritornare mai più sull’argomento.
Nonostante l’orario sia ormai propizio, non ci sentiamo ancora pronti a pranzare, così pensiamo di stimolare l’appetito con della sana attività fisica: ci mettiamo in riva al mare e iniziamo a dare spettacolo con il frisbee.
Il richiamo dello sport è fortissimo, e anche Nic non può evitare di svegliarsi per unirsi a noi. Nonostante il forte vento e la nostra scarsa pratica la prestazione è eccezionale, e con l’aiuto di Nic riusciamo a raggiungere il record di giornata di passaggi consecutivi: 3.
A questo punto, stremati dai 17 minuti di esercizio fisico, è decisamente giunto il momento di procacciarci del cibo. Ci rechiamo all’unico bar della zona e ordiniamo degli squisiti sandwich de marisco.

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Dopo pranzo, il copione del pomeriggio rimane sostanzialmente lo stesso, ad eccezione del faticoso giuoco del frisbee…c’è chi chiacchiera (noi tutti), c’è chi dorme (Nic) e c’è chi fuma (Fra).
Tra una parola e l’altra ci accorgiamo di come Fra sembri disinteressato all’arrivo delle tartarughe, così pensiamo bene di ricordargli di chiamare la riserva di La Flor.
La richiesta non lo fa molto felice, ma nonostante tutto Fra dimostra di comprendere la nostra eccitazione, e senza perdere la compostezza che lo contraddistingue si rivolge a noi dicendoci: “caspita ragazzi, comprendo il vostro entusiasmo per le tartarughe, ma in ogni caso dobbiamo attendere la sera. Comunque la vostra insistenza mi rende felice, è non mi è affatto di disturbo.
Forse le testuali parole non erano precisamente le stesse, ma il tenore del messaggio era circa lo stesso.12091361_10153337253723795_4631573452932441566_o.jpg
Ci mettiamo (momentaneamente) l’animo in pace, ordiniamo alcune birre e ci godiamo la romantica visione del cielo che inizia a tingersi d’oro, e del sole che lentamente scompare alle spalle degli scogli.
Jacopo e Francesca iniziano la loro caccia all’instagram definitivo, impartendoci delle preziose lezioni sull’importanza dell’uso dell’hashtag perfetto. Non sembrano essere completamente concordi su tutto, ma come mamma e papà che non vogliono farsi vedere mentre litigano, sembrano trovarsi d’accordo nel più classico dei #sunset.
Non ricordo bene, ma a questo punto forse anche Nic si è risvegliato, ma non ci giurerei.

La visione del tramonto ci ha fatto ricordare di essere particolarmente emotivi, e che la visione delle tartarughe potrebbe farci provare delle emozioni irripetibili.
Ricordiamo ancora una volta a Fra che ha una telefonata in sospeso, e a questo punto la sua risposta ci sorprende: “D’accordo ragazzi, mi avete convinto, telefono volentieri alla riserva naturale!
Le notizie purtroppo non sono delle migliori, non sono state avvistate tartarughe.
Decidiamo di tornare comunque a La Flor, ed effettivamente in spiaggia purtroppo non vediamo alcun animale, ad eccezione di alcuni turisti che passeggiano lungo la spiaggia facendosi luce con delle torce elettriche, nella vana speranza di inciampare su qualche tartaruga che abbia optato per le partenze intelligenti per deporre in totale solitudine.
Noi – purtroppo o per fortuna – non siamo dotati di altrettanta fede (o pazienza), perciò abbandoniamo la spiaggia.
Prima di salire in macchina però Fra, commosso dai nostri volti affranti, decide di intercedere con le “guardie forestali” di La Flor, convincendoli a concederci la visione di alcuni cuccioli di tartaruga.
Veniamo accompagnati alla “casa” del guardiano, dove tutto attorno a noi il pavimento è coperto di sacchi di sabbia, ciascuno identificato con una data.
Ci viene spiegato che si tratta di sabbia che viene raccolta quasi quotidianamente nel periodo della deposizione, assieme alle prime uova della stagione.
L’intento è quello di tutelare la riproduzione delle tartarughe, proteggendo le uova deposte dalla facile razzia dei predatori.
467.JPGCi viene poi mostrato un piccolo recipiente dove sono contenute alcune piccolissime tartarughe nate il giorno prima. Dopo averci chiesto con insistenza se avevamo le mani pulite e non contaminate da creme o detergenti, ci viene concesso di tenere i piccoli tra le mani, pur tra mille raccomandazioni di non stringere la presa e, ovviamente, di non lasciarli cadere a terra.

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Fra ci spiega come la “questione tartarughe” negli ultimi anni abbia iniziato a diventare argomento sensibile nel Paese.
Nonostante ogni anno sulla sola spiaggia di La Flor si riversino migliaia di tartarughe, le quali depositano complessivamente decine di migliaia di uova, la riproduzione della specie è seriamente minacciata dai predatori famelici di uova.
Suscita un certo stupore pensare che tra questi il principale è l’uomo, motivo per il quale, al tempo della nostra visita, il Nicaragua risulta essere l’unico Paese del Centro America ad aver vietato in maniera assoluta e in qualsiasi periodo dell’anno il consumo di uova di tartaruga.
Prima di salutarci, il Signore delle tartarughe, dispiaciuto per la nostra visita sfortunata, ci infonde un briciolo di speranza, dicendoci come la deposizione delle uova fosse prevista effettivamente per quella settimana, invitandoci a chiamare nei giorni seguenti per monitorare la situazione degli arrivi.
La notizia rende entusiata Fra, al quale non mancheremo di sollecitare le telefonate alla riserva.
Saliamo in macchina per fare ritorno verso casa; l’orologio di bordo segna quasi le 22:00. Le tartarughe ci hanno fatto perdere la cognizione del tempo, e la visione dell’orologio ci ricorda che dobbiamo nutrirci. I nostri stomaci danno inizio a una sinfonia di gorgoglii.
Su insistenza dei nostri amici locali, ci facciamo convincere a scegliere un ristorante italiano. Non ricordo il nome del locale, fatto stà che abbiamo mangiato pastasciutta. In Nicaragua.
A onor del vero i piatti non erano pessimi (per esser fuori dall’Italia) ma comunque lontani anni luce da ciò a cui siamo abituati nel Belpaese. Anche in termini di prezzo.
Fra ordina del vino, rosso o bianco non fa molta differenza. L’importante è che ci sia un tappo da poter annusare per simulare raffinatezza e incutere timore allo sventurato cameriere.
Ad accompagnare la nostra cena non è il solito impianto audio del locale; questa volta ad allietare la serata è il karaoke del locale accanto. Al microfono si esibisce una voce rotta dall’alcool e tendente allo stonato, tutte caratteristiche che ci fanno pensare ad un’esibizione del nostro amico Luigi Dell’Ostello, sindaco di fatto di San Juan del Sur.
Terminata la cena è ora di fare ritorno a casa, ma non prima di aver fatto l’immancabile sosta per gli acquisti: Rum e Hielo in quantità sufficiente per un reggimento.
Nel frattempo Fra rovista tra la spazzatura alla ricerca di qualche tappo di sughero da annusare.
Dopo aver riaccompagnato Francesca e Nick da Anita per la notte, la nostra serata è proseguita com’è facilmente immaginabile. Tranne per Nic, che ha deciso di anticiparci tutti andando subito a letto, spiegandoci a fatica di come il sole lo stanchi oltremodo. Col senno di poi, sarebbe stato meglio se avesse approfittato un po’ del tempo in spiaggia per fare almeno un riposino.
Dopo esserci scambiati una buona notte al sabor de Flor de Caña, diamo inizio alla processione per la tolettatura e, infine, ci mettiamo anche noi a letto, sognando di poter vedere qualche tartaruga il giorno seguente. Sempre se Fra non si dimentica di telefonare. Meglio ricordarglielo….

 

Nicola

 

La lamentela di Nic”: La pasta all’arrabbiata costa più che in Italia e la fa cagare.”
La raccomandazione di (mamma) Fra”: Annusate sempre il tappo. E’ la parte più buona del vino.

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Leyendas y tradiciones

Dia 4 – venerdì 7 agosto 2015

Quella mattina partii presto, vestito di tutto punto: pedule, pantaloni di fustagno, “portavo un eskimo innocente” a coprire il maglione di lana pesantissimo, guanti in pile e berretto norvegese con treccine incorporate.

Camminai per ore nel freddo glaciale della steppa innevata senza incontrare anima viva quando ad un tratto fui distratto da un rumore metallico come di una turbina che si avvicinava sempre più. All’orizzonte un puntino nero si faceva sempre più grande e quando fu poco distante dai miei occhi vidi che si trattava di un’elica che si avvicinava a velocità pazzesca e non accennava a compiere deviazioni di sorta! Mi gettai con scatto felino a lato del sentiero per schivarla e… mi svegliai in un lenzuolo che ormai pareva un sudario con un ventilatore puntato in faccia.

Guardo l’orologio: ore 5:03 – adesso so cosa prova Nicola tutte le mattine (ma questa è un’altra storia e se vorrà ve ne farà cenno lui stesso nelle prossime puntate).

Temperatura percepita nella stanza del Tortuga Booluda: palla di fuoco 3000 gradi… Farenheit!

I miei compagni di viaggio ronfano (soprattutto Lara)… Ma come cazzo fate a dormire con sto caldo?!

Mi sento un po’ come Ace Ventura dentro al rinoceronte:

Esco dal forno e scopro di non essere il solo mattiniero. Qua e là giacciono in ordine sparso e più o meno addormentate le belle ospiti viste ieri… Caldo ma almeno qui fuori si respira.

Mi dirigo verso la cucina, mi servo una tazza di caffè che vado a sorseggiare nell’ultima amaca disponibile all’ombra del primo sole (s’era assopito un pescatore).

Leggo la guida, ascolto musica, chiedo alle tipe che programmi avessero per la giornata, dormo un po’, mi verso dell’altro caffè e verso le 8 vedo finalmente comparire all’orizzonte le sagome di Lara e Nicola. Buongiorno compagni!

E’ il momento dei pancakes, da farsi con il preparato già messo a disposizione dagli chef del Tortuga Booluda.

Almeno un paio di giri a testa.

La giornata di oggi sarà dedicata ad una visita più approfondita di Leòn (che nome cazzuto) e di alcuni luoghi segnalati sulla nostra guida come “da non perdere”.

E figurati se noi ce li perdiamo! Poco prima delle dieci, dopo aver riassettato i nostri zaini, (io sono sveglio già da 5 ore) siamo pronti ad uscire nel delicato tepore della città.

Come prima tappa andiamo a vedere il Leòn (che nome cazzuto) Mural ovvero una serie di murales che ripercorrono la storia della città dai primi insediamenti Aztechi, alla fondazione da parte dei conquistadores spagnoli, fino all’epoca attuale.

Davvero originale – primo luogo da non perdere fatto

Dalla plaza principale ammiriamo la grande Cattedrale dell’Assunzione (1700), l’immancabile memoriale della rivoluzione ma soprattutto gli alberelli meta ambita per la ricerca di refrigerio dall’inferno di calore che ci circonda.

Dopo qualche sosta-idratazione arriviamo al museo più importante di Leòn (che nome cazzuto) ovvero il museo de leyendas y tradiciones.

Come abbiamo appena appreso dai murales infatti, la città è ricca di storia e la zona è conosciuta per le leggende che si sono tramandate di generazione in generazione e questo museo altro non è che una collezione stravagante di figure di cartapesta a grandezza naturale fatte a mano dalla fondatrice, la Señora Toruña (pure lei presente in versione imbalsam… ehm cartapestata).

Ci si sposta da una stanza all’altra, ognuna dedicata ad un aspetto diverso del folklore di Leòn (che nome cazzuto): La Gigantona – la donna gigante che rappresenta un colono originale ridicolizzata da un popolare balletto, oppure “La Carreta Nagua”, che preannuncia la morte di chi la incontra.

Per capire meglio il significato di queste figure decidiamo di servirci di una guida; ci avviciniamo alla cassa per acquistare i nostri titoli d’ingresso assieme ad una coppia di americani arrivati con noi. In questo stesso istante, dall’altro lato del vetro, nell’ufficio con l’aria condizionata sparata a 100, il povero Wilber Zarate sta per iniziare a gustarsi una scodella di granita pensando che niente e nessuno potesse frantumargli i coglioni e che per nessuna ragione al mondo sarebbe uscito di nuovo sotto il sole ormai allo zenit.

E invece…

Pronto ad un nuovo tour del museo con la scodella di granita in mano, Wilber si rivela molto professionale e, a differenza nostra, una bella persona. Ci racconta per filo e per segno delle leggende cittadine, di come e perchè sono nate. Tutto molto bello insomma, ma sala dopo sala un’angoscia mi opprime sempre più insistente: continuo ad osservare la granita di Wilber, ormai più simile ad una pozza d’acqua calda… In certi momenti non riesco più neanche ad ascoltare, vorrei solo gridare Wilbeeeeeer, mangia la granita prima che si sciolga del tutto! Ti prego! Ma lui niente, prosegue imperterrito nelle minuziose spiegazioni. Eroe.

Entriamo velocemente in confidenza e quando gli diciamo che siamo italiani i suoi occhi si illuminano: lui ha da poco iniziato a studiare l’italiano e ci confessa che uno dei suoi sogni è quello di venire a visitare il nostro paese.

Alla fine del tour – durato un’ora e mezza – ci scambiamo le mail e promettiamo di tenerci in contatto. Lui tutto contento va a prendere il dizionario SPAGNOLO – ITALIANO ITALIANO – SPAGNOLO che sta utilizzando per imparare la nostra lingua.

Grazie Wilber e in bocca al lupo!

IMG_2093Dal museo de leyendas y tradiciones ci spostiamo alla “Casa della Cultura” di Leòn che è un centro per la promozione delle attività culturali, gestito dall’Associazione Cultural Leonesa ‘Orlando Mendoza Pastora’. Qui vengono organizzate lezioni di spagnolo, danza, musica, arti visive, a prezzi popolari. Visitiamo una mostra permanente di murales, dipinti e sculture di artisti locali e una piccola biblioteca di riviste letterarie. Mica male come posticino!

Ormai è l’una passata e decidiamo che è arrivato il momento di mettere qualcosa sotto i denti ma soprattutto di disturbare Fra.

Tuuuuu tuuuuuu

F: hola?

J: uè ciao Fra come xea? te disturbo?

F: ciao Giorgia, eh so in riunione dime veloce…

J: no ci chiedevamo or ora se il Lago di Managua è dolce o salato…

F: ma *** *** che ***** ghin so? ma soprattutto no podemo parlarghine dopo?!?

J: volevamo saperlo adesso… vabeh comunque xa che se sentimo stasera allora si parte per San Juan?

F: si me raccomando cercate di tornare a Managua per le 16 che max 16:30 – 17:00 si parte… devo solo passare a prendere la macchina nuova…

J: ah figata, se va con la macchina nova? paga da bevare!

F: va in mona Ciube se vedemo dopo dai che so in riunion el ******* *********

J: ok Fra saremo puntuali. Saluto!

Troviamo un ristorantino che scopriremo poi essere gestito da un italiano che vive a Leòn (che nome cazzuto) da parecchi anni. Unica nota di colore: Nicola ordina dell’aglio con un pizzico di carne sotto.

Dobbiamo un pochino sbrigarci se vogliamo arrivare in orario a Managua. Ci nutriamo, abbeveriamo, paghiamo il conto e ci rituffiamo sotto la candela per andare a recuperare i nostri zaini al Tortuga Booluda. Da li prendiamo un taxi scassatissimo fino alla stazione delle corriere. Qui funziona che il pulmino parte solamente quando è pieno, esistono orari “indicativi” di partenza. Sicuramente lo fanno per motivi ecologici… ehi ma quell’elefante sta cercando di attaccare un UFO, datemi subito una spada laser cribbio!

Raggiungiamo il numero legale per la partenza e pensiamo: beh adesso l’autista accenderà l’aria condizionata… Vero autista? Autista???

Niente da fare, ben presto il sedere diventa un tutt’uno con il sedile di pelle, le magliette incollate e le fronti madreperlate, il che non ci preclude di fare alcune conoscenze in pulmino; nell’ordine:

Nicola: socializzazione con ragazzo logorroico (Centroamerica diferente) che non gli lascia tregua per tutto il viaggio

Lara: viene invitata ad assaggiare biscottini homemade dalla sua compagna di panca (cede dopo iniziale ritrosia causa possibilità di contrarre bacilli provocanti diarrea & affini)

Jacopo: vivo sicuramente il momento più bello della vacanza quando una ragazza autoctona si alza per scendere ma a causa di una frenata con conseguente ripresa del pulmino che neanche una Ferrari, atterra con il suo bellissimo e sodo sedere sulla mia faccia. Nema problema (sorrisone incorporato)!

Alla fine, dopo aver evitato mille incidenti, raggiungiamo miracolosamente Managua. Arriviamo a casa di Fra verso le 17, preoccupati per il ritardo. A casa ad attenderci però c’è solo Veneto – il perro di Fra -.

SMS da Fra: “SONO ANCORA IN UFFICIO DEVO PASSARE A PRENDERE LA MACCHINA, TARDO UN PO’. FATE COME FOSTE A CASA MIA. CIAO STRONZI.

Ok, intanto noi ci dissetiamo, svuotiamo e riempiamo di nuovo lo zaino con le cose “per il mare” (dura la vita del viaggiatore infaticabile) e verso le 18 siamo profumati e pronti a partire. Nel frattempo arriva anche Nic anche lui reduce dalla giornata lavorativa e pronto a partire… insomma manca solo Fra che si presenta con la nuova jeep Nissan alle 19:30 spaccate.

Già qua? – seguono invocazioni tipiche della tradizione natalizia che non starò qui a riportare –

La trattativa per la compraventita della macchina è stata più lunga del previsto ma ehi, l’abbamo portata a casa!

Tra una cosa e l’altra riusciamo a partire verso le 20:30 nella seguente formazione: sedili anteriori: al volante Francesco, copilota e iPod: mi. Sedile posteriore: addetti all’ignoranza nell’ordine: Nicola B. Lara & Nicola F. Bagagliaio: addetto ai bagagli e fonte inesauribile di peti: Veneto.

450Dirigiamo “el coche” verso sud sulla mitica carretera Panamericana. C’è chi ride a causa di massicce dosi di ignoranza, c’è chi dorme (soprattutto Lara) e c’è chi continua a emettere peti velenosi (Veneto). Dopo circa un paio d’ore arriviamo a San Juan der Sur, sull’oceano Pacifico.

sjdsVerso le 23:30 facciamo capolino al nostro ostello gestito da un tizio leggermente sopra le righe (in tutti i sensi) di nome Luiz. Quando scopre che siamo italiani ci spara subito due frasi che non possiamo non appoggiare in toto (soprattutto Lara):

Luiz: “ITALLLIANNIIIIII MI PIACE SCOOOPPPAAA”REEEE” “MONICA BELUCCCCI CHE BELLA FIGAAA”

… bravo, bravo Luiz!

Leggermente affamati scendiamo giù in paese… ovviamente i ristoranti sono quasi tutti chiusi a quest’ora ma riusciamo a trovarne uno che ci cucina una vassoiata di carne che apprezziamo più per sfinimento che per l’effettiva qualità (soprattutto Lara). Molto meglio il dopocena che ci vede protagonisti in due-tre bar con giretti di tequila e rum nicaraguense.

Una giornata di totale relax che si conclude alle ore 3:30 (quasi after), ora in cui decidiamo di coricarci.

Siamo al mare. Hai portato la protezione 50?

Jacopo

 

La raccomandazione di (mamma) Fra”: ragazzi, state bevendo abbastanza? Mi raccomando eh, almeno 2 litri di acqua al giorno faxime na carità che non staxì mae.

La lamentela di Nic”: ci si sistema all’ostello di San Juan der Sur, letti a castello. Mi devo dormire sora? *** ******** vara che rassa de scaletta che ghe xe… me coparò.

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